Amon

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Recensione ed approfondimento del Mito di Amon

Amon e Hatsphesut
Dio Amon ed Hatshepsute (bassorilevo)

AMON

 
 Padre di tutti gli Dei
 
 « Chinati davanti a te stanno gli Dei, lodando la forza del creatore.
Re e capo di ogni dio, noi celebriamo la tua forza perché tu ci hai creati.
Ti veneriamo perché tu ci hai formati.
Cantiamo inni di lode perché tu ci protegga »

(Inni di Amon)
 
Il suo nome significa lo sconosciuto (l'occulto)

Nell'Antico Regno Amon era un'oscura divinità della regione tebana. Il suo nome deriva dalla radice imn che ha il significato di "occultare, nascondere". Amon era quindi il "dio nascosto". Venne raffigurato antropomorfico (con sembianze umane), la testa ornata con la tiara dalle due alte piume ed anche criocefalo (cioè a capo di ariete) nella sua assimilazione amon-solare. L'ariete era l'animale che, insieme all'oca, gli venne associato dai sacerdoti. Già durante la XI dinastia è attestata la sua presenza a Tebe, che diverrà il centro principale del suo culto. Sembra che un tempo fosse adorato anche a Koptos, l'antica Kebti, dove la divinità locale, Min, presenta molti punti in comune con Amon.
 
All'origine Amon fu una delle otto divinità primordiali adorate a Hermopolis Magna, versione greco-romana per l'antica Unt, dove simboleggiava l'aria e lo spazio invisibile. Secondo l'antica tradizione Amon si era "auto creato" mentre secondo la teologia tebana era nato dall'unione di Thot con la dea Maat. Durante la XII dinastia salì al rango di dio supremo, prendendo il posto del dio guerriero Montu. Un suo santuario, risalente al Medio Impero, si trovava a Hermonthis (l'odierna Karnak), successivamente soppiantato dalle grandiose costruzioni che, in onore della stessa divinità, vennero erette dai sovrani del Nuovo Impero.
 
Infatti dopo l'espulsione degli Hyksos, ad opera di Ahmose I, principe tebano e fondatore della XVIII dinastia, l'Egitto iniziava una politica di espansione, estendendo al massimo i propri confini. Parallelamente all'accrescersi della potenza politica egiziana, aumentarono l'influenza, il potere e le ricchezze di Amon. Il suo sacerdozio occupava le più importanti cariche dello Stato ed il Gran Sacerdote era il personaggio più potente dopo il re.
 
Particolari benefici al suo culto vennero elargiti dalla regina Hatshepsut, la quale si dichiarò figlia effettiva di Amon. Nel tempio erettole dal suo architetto e favorito Senmut a Deir el Bahri è descritta infatti la visita che il dio Amon fa alla madre della regina rendendola incinta. Il sacerdozio tebano dovette però compiere un'opera di sincretismo (fusione di elementi di dottrine diverse) per imporre il carattere universale del dio, e lo assimilò all'antico dio solare Ra nella forma di Amon-Ra, facendogli assorbire da Ra caratteristiche e prerogative.
In tal modo si accentuò il carattere solare di Amon, pur mantenendo una connessione col dio della fecondità Min, adorato a Koptos. Infatti Min a Tebe era definito Amon-Ra Kamutef ("toro di sua madre"). Le due divinità, Amon e Min, erano perfettamente identiche sotto questo aspetto: itifalliche, coronate con le due alte piume e col braccio sollevato sostenente il flagellum (simbolo del potere), ma mentre il carattere di Amon fu sostanzialmente solare, Min venne considerato invece come il patrono della luna.
 

Sempre durante la XVIII dinastia, la dea Mut divenne la sposa di Amon, assorbendo Amaunet, la moglie precedente. Insieme al loro figlio, il dio lunare Khonsu, formarono la triade divina di Tebe, Amon-Mut-Khonsu, che ebbe come luogo di culto il celebre tempio di Karnak (il più vasto complesso di edifici religiosi dell'antico Egitto, costruito nella parte settentrionale dell'antica Tebe). A loro venne dedicato anche un grandioso tempio a Luxor (più grande di San Pietro a Roma), fatto edificare da due faraoni, Amenhotep III che lo iniziò e Ramses II che lo ampliò. La costruzione sorge nel cuore della città moderna (come allora sorgeva nel centro di Tebe) a pochi passi dal Nilo.
Le nozze di Amon e Mut facevano parte delle grandi feste annuali. Attraverso il fiume giungeva da Karnak, una volta all'anno la processione delle barche sacre recanti il simulacro delle tre divinità, in occasione della festa dell'opet. Dopo quattordici giorni di festeggiamenti, le barche facevano ritorno a Karnak per via terra, trascinate su rulli lungo un viale di due chilometri e mezzo, fiancheggiato da sfingi con la testa di ariete, animali sacri a Amon; uno di essi, allevato a Tebe, era ritenuto immagine vivente del dio.
A partire dalla XVIII dinastia divenne il dio supremo del pantheon egizio e divinità universale di tutto il mondo egizio, tanto da essere assimilato al dio del Sole Ra, sotto il nome di Amon-Ra.

Contro Amon e il suo clero si ribellò il faraone scismatico Amenhotep IV, instaurando il culto di Aton. Alla morte del sovrano il clero di Amon, che aveva continuato a esistere segretamente, passò alla riscossa ripristinando il vecchio culto. Dopo il periodo amarniano, Tebe incominciò lentamente a decadere; tuttavia in alcuni templi minori il culto di Amon (identificato dai Greci con Zeus) rimase vivo fino all'epoca greco-romana: dall'oracolo di Amon dell'oasi di Siwa Alessandro Magno ottenne la legittimazione della sua conquista dell'Egitto.
 
Amon ebbe culto anche nell'oasi di Khargeh e nella sua forma di Amon-Ra, egli venne adorato a Diospolis Parva ed a Xoïs, l'antico Khaset, capitale del VI nômo del Basso Egitto, l'odierna Sakka. Amon possedeva una delle barche processionali più importanti, detta User-hat, ornata a prua e a poppa di teste d'ariete.
 
da http://www.miezewau.it/divinit%E0.htm
 
Oh Amon, Amon, che sei nei Cieli
 
Padre di Chi non ha Madre.

Quanto e' dolce pronunciare il tuo nome.

Dacci come la gioia di vivere, il sapore del pane per il bimbo,

sia fatta la tua volonta' come in Cielo cosi in Terra.

Tu che mi hai fatto vedere le tenebre, crea la luce per me.

Fammi dono della tua grazia, fa che io veda te ininterrottamente!


Amon.

(Le preghiere sono tratte dal libro: A. Barucq – F. Daumas, Hymnes et prières de l’Egiypte ancienne, Le Cerf, Paris 1980)

A proposito di spiritualità, una piccola curiosità:
Ritroviamo l'Assioma del Mondo anche nella preghiera più importante della Religione Cristiana, il "Padre Nostro", esattamente nel passo "Come in Cielo così in Terra". Anche la parola Amen detta a fine preghiera, che molti pensano sia latina, in realtà è egizia e veniva usata come vocativo nelle preghiere al dio Ra (il dio del Sole) noto anche come Amon o Amen Ra, che era il corrispettivo dello Zeus- Ammone dei Greci.
 
 
Il Faraone e lo Sconosciuto
 
Il Re guardava il largo fiume increspato dalla brezza del mattino e tornava indietro nel tempo, rivivendo la dorata giovinezza trascorsa fra le mura della corte e i lussureggianti giardini del palazzo reale.

Fra quelle mura era divenuto Re. In quei luoghi aveva giocato, riso, a volte pianto; aveva sofferto la perdita del padre. Adesso ricordava quando il vecchio monarca lo portava a caccia di leoni nel deserto.
Una lacrima solcò il suo viso; in quel momento lo avrebbe voluto accanto a sé per avere il suo consiglio e il suo conforto. Ma cosa gli succedeva.


Un re deve essere forte, non può farsi vedere mentre piange preso dalla melanconia. Un re è la guida del suo popolo, cosa mai penserebbero di lui se lo vedessero debole?
Era divenuto re per volere del popolo e degli Dei. Già, gli Dei... Dove erano finiti? Erano ancora in mezzo agli uomini; celati sotto false vesti per non farsi riconoscere? Oppure se ne erano andati per sempre?
Ricordava quell’antico documento che molti anni prima il vecchio sacerdote del tempio gli aveva mostrato.
Vi si narrava dell’apparizione di molti cerchi di fuoco nel cielo, delle barche solari che dopo duecento anni erano riapparse sopra il palazzo reale per aiutare il Re nella guerra contro le orde degli invasori.

Adesso anche lui si trovava nella stessa situazione, un esercito agguerrito, composto migliaia di carri da guerra, era schierato ai confini del regno pronto ad invaderlo.
Dopo tanti anni di tranquillità i popoli intorno al regno si erano alleati e sotto la guida di un sovrano, amante della guerra, avevano deciso di combatterlo. Il nemico disponeva di una forza offensiva doppia rispetto alla sua e meglio equipaggiata. In cuor suo sapeva già di perdere la battaglia e il regno; probabilmente la vita. Non poteva arrendersi a nessuno. Lui era il Re.
Quello che stava osservando era forse l’ultimo tramonto, il nuovo giorno lo avrebbe visto mentre immolava la sua vita nel tentativo di salvare il suo popolo dalla schiavitù, dalla furia omicida di un invasore assetato di potere.
Si ricordò delle parole del padre: "Se un giorno ti troverai in difficoltà, recati al vecchio tempio oltre il deserto del Sud e prega il grande Dio del Sole, Amon, perché ti illumini e ti porti consiglio. Egli ti guiderà nelle tue scelte per il bene del regno. Pregalo con il cuore e l’anima e lui ti darà la risposta."
Aveva sempre seguito i consigli del padre, che era stato un saggio maestro oltre che un buon genitore.
Scese nelle stalle.
- Mio Signore desideri cavalcare stanotte? - chiese lo stalliere
- Si, ma da solo. Non voglio nessuno con me.
- Ma, Signore, non è prudente...
- Basta! Che nessuno mi segua, so badare a me stesso.
- Come sua Maestà desidera.
Salì sul suo cavallo e si diresse a sud, mentre calavano le tenebre. Cavalcò per ore e verso la mezzanotte giunse al vecchio tempio.


Il cavallo nitrì nervosamente. La costruzione sotto il chiarore della luna metteva un certo timore. Era imponente. Scese a terra. Davanti a lui partiva una doppia fila di enormi colonne che sorreggevano le grandi pietre del loggiato in fondo al quale si stagliava l’ingresso del tempio. I suoi passi risuonavano fra le pietre rompendo l’angosciante silenzio.

Giunse davanti alla porta, ai lati della quale erano state poste le statue di due grandi leoni assisi, ed entrò. L’interno era maestoso, il soffitto altissimo sorretto da colonne simili a quelle esterne, ai lati grandi bracieri accesi, con essenze aromatiche dai mille profumi. In fondo la ciclopica statua del Dio Amon sul trono, tutto scolpito nel granito rosso. Guardandola si carpiva tutta la potenza del dio, che stringeva nella destra il suo bastone di comando; il suo regale scettro.
 
Una grande lampada allungata, sorretta da un fior di loto, diffondeva la sua luce in tutto l’ambiente.
Era senza fiato dinanzi a tutta la potenza che emanava il luogo. Un passo dopo l’altro, osservando le scene scolpite sulle pareti che cantavano la gloria del Dio, giunse davanti alla grande statua e s’inginocchiò. Pregò come gli aveva raccomandato il padre, con il cuore e dal profondo dell’anima.
Improvvisamente avvertì una presenza alle sue spalle; si girò di scatto alzandosi, brandendo la sua corta spada.
- Non credo possa recar offesa a nessuno con tale lama - disse l’uomo che sembrava apparso dal nulla.
- Chi sei, cosa fai qui? Come osi apparire alle mie spalle? Non appartieni al mio popolo. Sei qui per uccidermi?
- Quante domande tutte assieme. Calmati. Sono colui che stavi invocando. Questa è l’accoglienza che riservi a colui di cui invochi la presenza?
Il Re abbassò l’arma e cadde prostrato ai piedi dello sconosciuto.
- O eccelso Amon, perdona la mia impudenza; ma grande è il mio timore e...
- Alzati! Sei un sovrano, rappresenti la volontà divina in terra; gli altri devono inchinarsi al tuo cospetto. Il tuo regno e il tuo popolo sono sotto le mie grazie e non permetterò che sia invaso e distrutto.
- Grazie mio Signore, sarò sempre il tuo più umile servitore.
- Tieni, prendi il mio scettro. Rivolgilo contro il nemico e premi col pollice il rubino, il mio potere fermerà gli invasori.
Il sovrano prese l’oggetto che il Dio gli porgeva. Un bastone cilindrico di metallo lucente, lungo circa mezzo metro, finemente lavorato e cesellato, sul quale erano incastonate varie pietre preziose; nella parte inferiore spiccavano, in fila una sopra all’altra, più grosse delle altre, due pietre: uno smeraldo e un rubino.
 Non era né oro, né argento; uno strano metallo estremamente leggero che rendeva l’oggetto molto maneggevole nonostante la sua lunghezza. Rimase a fissarlo con meraviglia per qualche istante, provando a maneggiarlo come fosse una spada; quando rialzò lo sguardo a cercare Amon, il dio era sparito, così come era apparso.
Si guardò intorno, scrutò fra le colonne; poi, portando al petto lo scettro divino, girò i tacchi e s’incamminò verso l’uscita.


Prima di salire a cavallo, con le briglie nella mano, volse lo sguardo al cielo, forse con la segreta speranza di incrociare lo sguardo della divinità. Guardò un ultima volta il tempio, salì in groppa allo stallone e prese la via del ritorno.
Quella notte stentò a prendere sonno; cadde fra le trame di Morfeo poche ore prima dell’alba, ma nonostante ciò, al risveglio non si sentiva stanco, anzi era impaziente di scendere in campo per affrontare il nemico.
Alla testa del suo esercito, in piedi sul suo carro dorato, si mosse verso nord; i messaggeri lo avevano già informato che il nemico aveva attraversato il confine entrando nel suo regno. Tutto era avvenuto durante la notte e adesso le orde nemiche erano molto più vicine; le avrebbe incontrate senza dubbio in mezzo alle colline. Non era un buon posto per una battaglia, il terreno avrebbe offerto all’invasore molti punti per preparare trabocchetti. Doveva forzare i tempi di marcia e tenere uniti tutti i suoi uomini per limitare il pericolo.
Poche ore dopo incontrò le schiere del nemico, al limite delle colline. Arrestò il suo carro; i suoi guerrieri si disposero a ventaglio intorno a lui. L’esercito che gli si parava davanti offriva una visione impressionante.
 
Parte della piana e le prime colline brulicavano di guerrieri e di carri; erano un’estesa e sconvolgente macchia scura che oscurava l’orizzonte.
Un grido e la battaglia ebbe inizio. Le spade luccicarono al sole e, quando i due eserciti si scontrarono, un sinistro rumore metallico salì al cielo, mentre la polvere sollevata dai carri riduceva la visibilità.


Il Re mosse il suo carro avanti puntando lo scettro verso il nemico. Dalla sua estremità scaturì un fascio di luce abbagliante che spazzò via in un attimo le prime file dei soldati nemici. Un iniziale senso di terrore invase il Re esterrefatto davanti a tanto potere, ma dopo la breve esitazione riprese a maneggiare lo scettro divino contro i nemici che si lanciavano verso di lui.
I carri dell’invasore riuscirono a dividere i suoi uomini penetrando come un cuneo nelle loro file; il sovrano si ritrovò chiuso fra le colline con una parte dell’esercito. Schierati di fronte oltre duemila carri nemici pronti a caricare. I suoi uomini disposti a semicerchio a far da scudo. Ma il re si era reso conto della sua forza e facendosi largo fra le sue schiere si era portato davanti a tutti, con lo scettro stretto nella mano.
 
Senza proferire un grido si lanciò improvviso contro il nemico agitando lo scettro da destra a sinistra. La lucente lama di luce si abbatteva sui carri, gli uomini e sui cavalli seminando la morte. Nessuno rimase in vita; come ebbe occasione di scrivere lui stesso anni dopo, dei suoi nemici non restarono che "mucchi di cadaveri davanti ai suoi cavalli".
Adesso si sentiva invincibile e si gettò nella mischia, sprezzante del pericolo, sicuro di essere protetto dal dio Amon: assalì per ben sei volte il nemico da solo, brandendo solo l’arma divina. Il raggio di luce emesso dal bastone ridusse per sempre al silenzio ben mille perfetti carri da guerra fra i più temuti dell’epoca e i soldati che li conducevano.
Il nemico, vedendosi perduto, si diede alla fuga. Il suo regno era salvo.
In un attimo da Re era divenuto un Dio; le sue gesta raggiunsero regni lontani. Rendendosi conto del vantaggio creato dal mito iniziò una campagna di conquista che gli permise di allargare i confini del suo regno.

Fu durante l’assedio di una delle capitali nemiche che sfoggiò tutto il suo potere. Si tolse la corazza e, armato del solo scettro, entrò nella città. Poche ore dopo questa capitolava mentre veniva acclamato come un dio.
Pochi anni dopo l’inizio di queste ostilità i popoli confinanti con il suo nuovo regno stipularono un armistizio.
La pace era tornata a regnare su tutti i territori e il Re ritornò all’antico tempio del sud. S’inginocchiò riverente davanti alla statua del Dio.
- Divino creatore, grande la mia riconoscenza per l’aiuto dato. Riprendi il tuo scettro e il tuo potere affinché nessun altro se ne appropri recandoti offesa
- disse porgendogli lo scettro.- Ti ringrazio per la tua lealtà, mio devoto sovrano. Riprendo ciò che è mio; se ne avrai ancora bisogno lo riavrai dalla mia mano.
Detto questo si volse verso la sua effigie e tese il braccio verso di essa; lo scettro si librò nell’aria fino a raggiungere la sua copia in pietra. Una luce accecante s’irradio intorno mentre i due oggetti si fondevano uno dentro l’altro; quando la luce svanì rimase solo uno scettro di pietra stretto nella mano di una statua.
Il Dio era sparito di nuovo, il giovane Re s’inchinò riverente e uscì dal tempio.
Era una notte senza luna, percorse il colonnato senza quel timore che lo aveva pervaso la prima volta che aveva visitato quel luogo; adesso le nere colonne gli sembravano baldi guerrieri pronti a proteggerlo; si sentiva forte, potente, sicuro che il suo sarebbe stato un lungo e pacifico regno.

Montò a cavallo e sparì nel deserto in mezzo alle tenebre, diretto verso la sua reggia.
Le sue imprese sarebbero state commemorate nei monumenti e scolpite nel granito, la sua fama sarebbe stata tramandata ai posteri e avrebbe fatto parte della storia degli uomini.

Il suo nome era Ramses...

di Orus
per Edicolaweb

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