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La
Dea Cupra: mistero e fascino Pagano
di
Alessandro Metta
Per
quanto riguarda l’aspetto cultuale del paganesimo degli antichi Piceni,
l’unica divinità conosciuta è la Dea Cupra. Probabilmente c’erano altre
divinità guerriere e anche un culto dei lari e dei penati simile a
quello dei latini (culto delle anime dei defunti che proteggevano la
comunità), ma le tracce rimaste sono scarsissime. Al contrario
sull’adorazione della dea Cupra esiste più di una testimonianza, tra
Marche e Umbria.
Una
divinità femminile, assimilabile alle Grandi Madri delle civiltà
mediterranee. Il mondo antico, ben prima della visione cristiana
proveniente da un’area non europea, aveva divinizzato tutti gli aspetti
della femminilità, tra i quali quello della Madre, quello dell’Amante e
l’aspetto magico-lunare. La religione della dea Cupra sorge nell’era
picena ma poi prosegue nel periodo romano fino alla tarda età
imperiale, in cui in ogni provincia dell’Impero si diffondevano culti
misterici ed iniziatici di origine orientale. La nostra Dea quindi può
essere associata a divinità come le fenicie Astarte e Ishtar,
all’orientale Lilith, alla greca Afrodite, alle romane Venere e Bona
Dea.
Una Dea
della fecondità e della fertilità, dell’elemento acquatico considerato
come matrice vitale del tutto. L’origine lessicale è identificabile
nell’umbro antico Cubrar, o Kypra; oppure nella radice cup, da cui
derivano cupiditas, desiderio, e Cupido, dio dell’amore. Questi
suggerimenti possono indicare i miti evocativi e i contenuti, erotici e
femminili, della Dea Cupra.
Rappresentazioni
votive della Dea Cupra
rinvenute
in contrada "La Civita"
Nel terzo
secolo a. C. una nuova potenza sta per sorgere nell’Italia antica,
Roma. Nel 229 a. C. Piceni e Romani stipulano un trattato difensivo per
fronteggiare le invasioni dei Celti Senoni e combattono insieme, sia
contro i cartaginesi che contro altre popolazioni italiche. Durante la
guerra contro i Senoni, le legioni romane sostano per svernare nel
Piceno ed iniziano così a penetrare gli emissari di Roma, a Fermo,
l’antica Firmum, che diviene città alleata di Roma. I piceni iniziano a
presagire le intenzioni di conquista dei Romani. Da lì a poco esploderà
lo scontro, che porterà l’area litorale picena negli orizzonti di un
impero nascente.
«Fu
Adriano a far restaurare il tempio della Dea Cupra»
di
Valeria Fabioneri
CUPRA
MARITTIMA - In passato Cupra era dotata di un grande porto e di un
importante santuario. Ad accrescere la sua rilevanza storica è la
scoperta che, a restaurare il tempio della Dea Cupra, fu proprio
l'imperatore Adriano. È Giovanni Ciarrocchi a spiegare questa relazione
con il suo libro "Schemi Adrianei nel foro di Cupra Marittima", che
presenterà sabato 29 novembre presso il cinema Margherita a partire
dalle 17, e nel quale dimostra che l'Imperatore era anche un grande
matematico.
Il luogo
dove sorgeva il tempio della Dea Cupra
Anticipa
l'autore: «La figura di Adriano si relaziona a Cupra Marittima per vari
motivi: l'origine picena dell'imperatore, il rinvenimento
dell'iscrizione adrianea che celebra il "restauro" del tempio della dea
Cupra, la riconoscibilità geometrica e matematica del progetto adrianeo
negli edifici del foro di "Cupra Maritima"».
Spiega
ancora l'autore: «Il libro si propone di trovare un'analogia tra gli
aspetti dimensionali e numerici del foro, e l'opera dell'Imperatore
nella sua veste di architetto e matematico. La misurazione dei ruderi
cuprensi infatti - aggiunge Ciarrocchi - ha evidenziato l'utilizzo di
moduli e rapporti aurei che lo stesso Adriano abitualmente usava in
molte sue realizzazioni».
Conclude
l'autore: «La ristrutturazione ordinata da Adriano del santuario della
Dea Cupra e dell'intero foro cuprense, emerge in modo chiaro dai numeri
delle dimensioni delle strutture antiche e dall'uso della serie
numerica di "Fibonacci" per proporzionare gli spazi cuprensi attraverso
il numero aureo. La conoscenza di questi numeri mette in luce la
profonda conoscenza della matematica da parte dell'imperatore Adriano».
I segreti
della Dea
di
Alessandro Metta
CUPRA
MARITTIMA - Spesso abbiamo affrontato, in questo viaggio a ritroso nel
passato più antico dei nostri territori in cui ora viviamo, il nome
della Dea Cupra, un nome evocativo, che richiama a sé molti
significati. È affascinante conoscere ancora di più cosa fosse il culto
della Dea Cupra, considerando che aveva un aspetto misterico e magico
non indifferente. Tramite le testimonianze degli antichi e gli studi
dei moderni, cercheremo di delineare un ritratto della Dea, che mai
potrà essere esaustivo e finale, poiché i misteri resteranno tali, così
come sacerdoti e sacerdotesse prescrissero millenni fa.
Il culto
della Dea è antichissimo, di origine orientale, e affonda le sue radici
nelle primordiali religioni matriarcali, fondate sulla venerazione del
femminile, della prosperità e della fecondità.
il
sacrificio alla Dea Cupra
Intorno
al X secolo e ben prima dell’arrivo dei Piceni, l’area di Cupra è
popolata da genti non italiche e nemmeno indoeuropee. Orientandosi tra
le fonti del mondo antico, si trattava probabilmente di stirpi vicine
ai Pelasgi, antica popolazione mediterranea, provenienti dall’area
dell’antica Cipro, isola che nei miti greci dà i natali a Venere, che
spesso è chiamata “Cipride”, ovvero colei che è di Cipro. La scienza
che ricostruisce l’origine e la storia delle parole, l’etimologia, ci
viene in aiuto in questo caso, poiché collega direttamente il nome
stesso di Cupra a Cipro e alla sua dea, Cipride-Venere, somma dea della
femminilità. In questo percorso indietro nel tempo vediamo
immediatamente definirsi l’importanza del mare, luogo di viaggi, scambi
e civiltà, ma anche spazio di identità delle nostre popolazioni
rivierasche, millenni fa come adesso. Proprio i ciprioti, orientali
popoli del mare dediti alla navigazione, in fuga
probabilmente
dai Fenici e dagli Assiri, sbarcano sulle rive dell’Adriatico, fondano
una piccola colonia e va immagine e somiglianza della loro isola
d’origine portano usanze e culti religiosi. La posizione geografica era
strategica: favorevolissima ai contatti con l’esterno, abitata da
navigatori e dotata di uno dei santuari pagani più importanti
dell’antichità.
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« Gli
altari della Dea Cupra ardono lungo i litorali »
. Sulle
lesene dipinte, che fiancheggiano il quadro centrale, l'artista dipinge
a sinistra la Dea Cupra intesa come rappresentazione della città
romana. Questa divinità fu la protettrice dell'antico popolo dei Piceni
e qui reca in mano un anellone a sei nodi e una piccola statua che
sembra raffiguri la dea stessa, quale memoria e omaggio ai ritrovamenti
archeologici che, all'inizio del XX secolo, vedevano luce dalle
necropoli del territorio.
Ricordiamo
che nel mondo antico, i templi pagani erano aree sacre, e come accade
ora per i santuari cristiani, erano mèta di pellegrinaggi e visite da
parte di popolazioni provenienti dalle sponde del Mediterraneo. Non
sottovalutiamolo: il tempio della Dea Cupra era un polo sacrale
importante, considerato tra i più significativi dell’Italia pre-romana;
tanto importante che l’imperatore Adriano in seguito si preoccupò di
ridefinire sia i suoi rituali che la sua struttura architettonica.
Possiamo dunque ipotizzare senza cadere in errore che il tempio
cuprense era oggetto di viaggi effettuati via mare, ma anche da
comunità provenienti dall’interno. È utile rammentare come non molto
lontano da Cupra e dal mare, nei monti Sibillini, si trova un altro
centro di sacralità pagana di carattere femminile, quello rappresentato
dalla Sibilla, nome che evoca miti, leggende e magie. La testimonianza
archeologica di tale discorso è data principalmente dal
ritrovamento
a Cupra Marittima di un amuleto orientale, fenicio o egizio,
estremamente diverso dagli oggetti piceni e romani. Ciò testimonia come
Cupra, più di 2000 anni fa, era luogo di incontro di diverse civiltà e
culture, unite dall’adorazione comune della femminilità divina, della
Dea, conosciuta in tutto il Mediterraneo.
Alba
al Tempio della Dea
La
femminilità e il Divino
di
Alessando Metta
Il culto
della Dea Cupra: una lettura esoterica e misterica
SAN
BENEDETTO DEL TRONTO - Molti studi accertano, basati sulle
testimonianze storiche esistenti, come il culto della Dea Cupra fosse
tra i più importanti dell’Italia pre-romana: ce lo conferma
innanzitutto Strabone ma anche cronisti minori e meno famosi come Silio
Italico, il quale ricorda gli altari fumanti della dea Cupra. Una
divinità femminile onorata e potente, la cui adorazione probabilmente
chiamava in causa direttamente l’elemento esoterico diffuso nella
mistica pagana delle religioni del mondo antico, le quali tutte avevano
una ritualità di carattere magico. Si tratta delle religioni
Misteriche, per cui ogni culto religioso, nel mondo pagano, si
manifestava in due volti: uno rivolto all’aspetto pubblico della
religione, un altro, quello più vero, orientato alla conoscenza della
divinità, è l’aspetto sapienziale, a cui solo i sacerdoti e gli
iniziati potevano accedere.
Un
affresco della Villa dei Misteri di Pompei. Essi rappresentano il
percorso iniziatico dei misteri dionisiaci
Possiamo
presumere che anche la Dea Cupra avesse quindi i suoi misteri sacri,
indicibili, nascosti alle moltitudini, misteri che affondavano la
propria valenza nella natura stessa della Dea, nel suo fulgore e in ciò
che essa rappresentava agli occhi dell’uomo pagano. Inoltre bisogna
considerare con attenzione che la Dea Cupra non era soltanto
localizzata nell’area picena: i suoi templi erano presenti in tutta la
penisola, presso gli Etruschi,
i Latini
(che la nominavano Dea Bona), i Greci, tanto da essere ritenuta non a
caso una delle maggiori divinità femminili dei popoli italici. Tutto
ciò senza tralasciare la remota origine mediterraneo-orientale delle
sue valenze religiose, che richiamano le seducenti e voluttuose
divinità fenicie ed egizie ( Astarte, Ecate, Ishtar, Lilith, Hathor, e
molte altre) , la cui venerazione era legata non solo alla prosperità e
all’elemento acquatico e lunare, primordiali attributi femminili, ma
anche all’elemento propriamente sessuale ed erotico, che nell’era
Pagana era ritenuto sacro e divino.
Lamuna
del II sec.a.C. in lingua umbra e caratteri latini con la scritta alla
dea Cupra
Divinità
dal nome differente, ma che allo stesso modo e in diverse civiltà
rappresentavano lo stesso Principio, la stessa Energia, la stessa
Magia: femminilità. Lo stesso principio che nell’India Vedica e nel
tantrismo indù (insieme di rituali fondati sull’energia sacra della
sessualità) è chiamato Shakti, ovvero Potenza. Questi presumibilmente
erano i contorni della ritualità pagana della Dea Cupra, il cui
santuario oltre ad essere un polo religioso diventa un epicentro di
genti, di popoli, di culture che nel Mediteranno e nell’Adriatico si
incontrano e ed entrano in contatto per portare un tributo alla Dea e
al principio femminile eterno, presente nel Tutto e perennemente
fecondo.
Il culto
della dea Cupra e la Ierogamia
di
Alessandro Metta
Alcuni
aspetti dei misteri sacri nei rituali pagani
CUPRA
MARITTIMA - Basandoci su una serie di supposizioni, su cosa poteva
organizzarsi il culto della dea Cupra? Quali erano i suoi rituali, le
sue celebrazioni, le forme di questa venerazione? Per cercare di
delineare quale fosse la ritualità di questo sacro culto pagano occorre
fare analogie interessanti e confronti con alcune divinità della stessa
tipologia, divinità femminili, rappresentanti prosperità, bellezza e
fascino,
caratteristiche
che per i Pagani erano assolutamente divine. Diversamente dai
cristiani, la cui religione, estranea alle forme di sacralità praticate
nel mondo antico e da una civiltà di matrice aristocratica, ancora non
era giunta nei lidi piceni.
I culti
ierogamici si fondavano sulla sacralizzazione del Femminile,
qui
rappresentato lo " sparagmos" dionisiaco, l' indiamento rituale
Sul culto
le testimonianze sono estremamente scarse, e occorre sondare non solo
le fonti archeologiche ma anche l'ambito della storia della religioni,
la scienza che studia ogni fenomeno religioso della civiltà umana, i
rituali, le pratiche, la magia. Le origini orientali, fenicie, o come
dicono alcuni etrusche, ci riportano più o meno direttamente alla
Ierogamia (in greco " matrimonio sacro") un rito diffuso nel mondo
pagano, consistente nell'avere un'esperienza religiosa-mistica tramite
un'esperienza erotica e sessuale.
Alla
ierogamia sono connessi i Baccanali, le orge dionisiache e il fenomeno
della prostituzione sacra: in ognuno di questi rituali, senza
approfondire ulteriormente poiché non è lecito svelare i Misteri,
il piacere sessuale, ritenuto come sacro e non semplicemente come un
fatto biologico causato dall'istinto e destinato alla procreazione, è
utilizzato come uno strumento per accedere alla divinità, per sfiorare
qui sulla terra l'ombra degli Dei.
I
Baccanali erano talmente diffusi che nel 186 avanti Cristo il senato
romano dovette emanare una serie di leggi - il
Senatoconsulto de Bacchanalibus - per contrastare la loro pratica nelle
campagne, in quanto mettevano in crisi l'ordine pubblico. Tali pratiche
non furono comunque estirpate dal cristianesimo, vennero tramandate
segretamente, dagli gnostici, dagli alchimisti, fino agli attuali
gruppi neopagani di diverso orientamento. La ierogamia, officiata
solitamente dai sacerdoti e dalle sacerdotesse, simboleggiava l'unione
del principio maschile col principio femminile (nel paganesimo l'uomo
aderisce al proprio principio cosmico, egli è simbolo del principio)
che garantiva prosperità e armonia alla terra e alla comunità.
Fertilità e prosperità: tutelate entrambe dalla Dea Cupra.
Esistono
numerose rappresentazioni scultoree e pittoriche della ierogamia,
provenienti da tutte le civiltà pagane: greci, romani, italici, egizi,
in modo ancora più pregnante fenici, cretesi, e popoli della
Mesopotamia. Tutti sembrano aver riconosciuto i caratteri divini della
sessualità.
dal sito:
http://www.sambenedettoggi.it/2008/11/21/64179/la-dea-cupra-mistero-e-fascino-pagano/
Immagine tratta dal
sito:
http://www.fondazionecrpg.it/
Commento
di Fedora Boco
(Il
Brugnoli) per celebrare l'antica e nobile origine etrusca della
città, rievocava, sullo sfondo di un cielo aurorale, i riti, del
Sacrificio alla dea Cupra, orchestrandone "operisticamente" le parti
fra i due gruppi distinti dei guerrieri in atto di giurare la propria
fedeltà e delle vestali danzanti intorno al podio su cui statuaria si
erge, fra i vapori dei bracieri ardenti, la sacerdotessa celebrante il
rito: vere e proprie quinte sceniche formanti un profondo corridoio
aperto sulla folla e la mole retrostante dell'Arco d'Augusto. Superfluo
soffermarsi a sottolineare ancora per questa scena la più volte
confermata propensione del pittore verso il luminoso colorismo dei
frescanti del sei-settecento italiano, come verso il gusto eroico ed
estetizzante dei peintres-pompier.
Viene
invece spontaneo il confronto, nel segno del mutato clima
politico e culturale, con quel poco conosciuto Incendio di Ottaviano in
Palazzo Florenzi con cui trent'anni prima, nel rievocare la drammatica
resa di Perugia all'assedio di Ottaviano Augusto, il perugino Nicola
Benvenuti aveva dato cripticamente voce all'avversione antipapalina dei
sui illustri committenti. Il taglio della composizione è lo stesso, ma
ai bagliori delle fiamme devastanti la città del dipinto, ora qui si
sostituisce l'immagine aurea di una civiltà dove al maschio vigore dei
guerrieri si sposano le morbide grazie discinte della gioventù
femminile, alla rigidità statuaria dell'oppressore la leggerezza aerea
e odorosa di incensi delle belle creature, alle quali - strizzando un
occhio tanto ai committenti quanto a certo voyeurismo da boudoir tipico
del fin de siècle -, il pittore offre il ruolo di primedonne in scena.
Il riferimento a un contesto prettamente teatrale, è quanto mai dovuto.
Non v'è dubbio, infatti, come a prima vista il Sacrificio di Brugnoli
sembri conservare memoria, sia per il taglio compositivo che per alcuni
particolari, quali le suonatrici d'arpa inginocchiate sul podio, della
tela con La Vergine al Nilo dell'amico Faruffini. Ma, come in gioventù,
anche qui Brugnoli conferma la sostanziale incomprensione dello spirito
del pavese, trasfigurando quel senso d'aria greve e di violenta
ritualità tribale che anima il quadro di Faruffini e che agli animi
europei più sottili richiama l'imagerie romanzesca dell'Oriente, in
un'aura favolistica e trionfale.
La stessa
della scenografia teatrale di opere quali l'Aida o la
Semiramide, dove l'atmosfera "Oriente" sortiva, come in questo caso, da
divertiti e confusi pastiches d'elementi arabo-turchi-egiziani, antichi
e moderni. E che la rappresentazione di quest'episodio fosse
sicuramente la più congeniale alla fantasia del Brugnoli, sia per il
soggetto che per la consuetudine del pittore con l'ambiente teatrale,
lo dimostra anche la maggior debolezza inventiva che "penalizza" i
restanti tre soggetti a tema prevalentemente militare dove più forti, e
non sempre felicemente amalgamati, risultano i riferimenti a modelli
fra i più diversi della pittura antica e moderna.
(Tratto
da: Fedora Boco in I dipinti di Palazzo Graziani, Effe Fabrizio
Fabbri Editore S.r.l. , 1999)
Commento
di Raniero Gigliarelli
A
sinistra, entrando, domina le altre figure, nel primo quadro della
volta, una sacerdotessa sacrificante alla dea Cupra: innanzi a lei, a
poca distanza dal sacro fuoco, guerrieri chiamati alla difesa della
patria, giurano di vincere o di morire. Figure eminenti, l'una nella
maestosa gravità del rito, le altre nella marziale espressione
fisionomica, nel colorito delle carni, nella formosa gagliardia delle
membra. Al suono delle arpe e dei flauti, fanciulle nude o vagamente
velate, di greca leggiadria, intrecciano fantastiche danze dietro l'ara
del sacrifizio, in grazioso contrasto con la fierezza del gruppo
opposto. In lontananza il popolo trae dalla gran porta urbica e ovunque
l'onda solare s'irraggia a glorificare il solenne momento e a render
più fulgida quella scena, così ricca per immagini, così gaia per
colore, così varia, e così piena di poesia, di forza, di luce, di
movimento. Questa è l'epoca etrusca.
Tratto
da: Raniero Gigliarelli in Perugia antica e Perugia moderna,
Stavolta Editore, 1908)
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