
Ipazia rappresentata da Raffaello
Da: http://www.satorws.com/ipazia.htm
IPAZIA
(Hypatia;
Alessandria d'Egitto, circa 370 – Alessandria
d'Egitto, marzo
415) è stata una matematica, astronoma e filosofa
greca.
Pagana, la sua fama deriva soprattutto dalla sua
uccisione da parte di
monaci cristiani, che l'ha fatta considerare una
martire del paganesimo
e della liberta di pensiero.
Astronoma e
matematica
Ipazia nacque ad
Alessandria [2] nella seconda metà del IV secolo. Non
è possibile stabilire con maggiore precisione
l’anno della sua nascita: il lessico Suda sostiene che
ella
«fiorì durante il regno
d’Arcadio», [3] ossia dal 395 al 408, che
comporterebbe una data di nascita oscillante dal 355
al 368, [4] anche
se la maggior parte degli studiosi crede di poter
indicare la sua
nascita intorno al 370. [5]
Nulla si sa della
madre e il fatto che i saluti rivolti a Ipazia e agli
altri famigliari
nelle lettere del suo allievo Sinesio non la citino
mai, fa ritenere
che, almeno nel 402, ella fosse già morta. [6] Si sa
di un
fratello di nome Epifanio, dedicatario sia del Piccolo
commentario alle
Tavole facili di Tolomeo, [7] che del IV libro dei
Commentaria a
Tolomeo [8] del padre Teone.
Dubbia
è la possibilità che avesse un altro fratello di
nome Atanasio; nelle lettere in cui Sinesio saluta
Ipazia:
«Abbraccia per me la venerabilissima e piissima
filosofa, il
beato coro che gode della divina voce, ma soprattutto
il beatissimo
padre Teotecno e il compagno nostro Atanasio» [9] e
«stammi bene e salutami i compagni felici, cominciando
dal
padre Teotecno e dal fratello Atanasio», [10]
l’ipotesi che Teotecno - Teone è effettivamente il
diminutivo di Teotecno - e Atanasio indichino
rispettivamente il padre
e il fratello di Ipazia, [11] non ha la maggioranza
dei consensi dei
commentatori. [12]
Noto è
invece il padre, «Teone, il geometra, il filosofo
d’Alessandria», [13] che studiava e insegnava ad
Alessandria, dedicandosi in particolare alla
matematica e
all'astronomia - osservò l'eclisse solare del 15
giugno 364
e quella lunare del 26 novembre - e che sarebbe
vissuto almeno per
tutto il regno di Teodosio (378-395). [14] Che Ipazia
sia stata allieva
prima e collaboratrice del padre poi è attestato dallo
stesso Teone il quale, in capo al III libro del suo
commento al Sistema
matematico di Tolomeo, [15] scrive che l'edizione è
stata
«controllata dalla filosofa Ipazia, mia figlia».
Non è chiaro il tipo di controllo esercitato da
Ipazia: se
si sia trattato di una semplice revisione del commento
paterno, [16] di
integrazioni al testo [17] ovvero di editare l'intero
testo di Tolomeo.
[18]
Le fonti antiche
sono concordi nel rilevare come non solo Ipazia fosse
stata istruita
dal padre nella matematica ma, sostiene Filostorgio,
anche che
«ella divenne molto migliore del maestro,
particolarmente
nell’astronomia e che, infine, sia stata ella stessa
maestra
di molti nelle scienze matematiche». [19] Filostorgio
non
è soltanto una storico della Chiesa, ma anche un
appassionato, se non un esperto, di astronomia e di
astrologia, [20] e
le sue affermazioni trovano conferma in Damascio il
quale scrive che
Ipazia «fu di natura più nobile del padre, non si
accontentò del sapere che viene dalle scienze
matematiche
alle quali lui l'aveva introdotta, ma non senza
altezza d'animo si
dedicò anche alle altre scienze filosofiche». [21]
Matematica,
astronoma e filosofa, come aveva già attestato il
padre:
Ipazia aveva tutti i titoli per succedere al padre
nell'insegnamento di
queste discipline nella comunità alessandrina, nella
tradizione del glorioso Museo fondato quasi 700 anni
prima da Tolomeo I
Soter. Anche se il vecchio Museo non esisteva più da
quando
andò distrutto al tempo della guerra condotta da
Aureliano,
la tradizione dell'insegnamento delle scienze mediche
e matematica era
però continuata ad Alessandria, mantenendo intatto
l'antico
prestigio, come conferma anche Ammiano Marcellino,
[22] e Ipazia,
già almeno dal 393 era a capo della scuola
alessandrina,
come ricorda Sinesio [23] giunto ad Alessandria da
Cirene per seguirvi
i suoi corsi.
Le fonti antiche
le attribuiscono sicuramente un commentario a un'opera
di Diofanto di
Alessandria, che dovrebbe essere, secondo gli
interpreti, l'
Arithmetica, e un commentario alle Coniche di
Apollonio di Perga.
È dubbio se ella abbia composto anche un'opera
originale
sull'astronomia, un Canone astronomico: la notizia di
Suda [24] -
«scrisse un commentario a Diofanto, il Canone
astronomico, un
commentario alle Coniche di Diofanto» - non permette
di
comprendere se quel canone sia in realtà un commento a
un'opera di Tolomeo, possibilmente quella già nota e
citata
dallo stesso padre Teone.
La mancanza di
ogni suo scritto rende problematico stabilire il
contributo effettivo
da lei prodotto al progresso del sapere matematico e
astronomico della
scuola di Alessandria: a dire del Kline, quella scuola
«possedeva l'insolita combinazione di interessi
teorici e
interessi pratici che doveva rivelarsi così feconda un
migliaio di anni più tardi. Fino agli ultimi secoli
della
sua esistenza godette di piena libertà di pensiero che
è un altro degli elementi essenziali per il fiorire di
una
cultura e fece compiere importanti passi avanti in
numerosi campi che
dovevano diventare fondamentali nel Rinascimento: la
geometria
quantitativa piana e solida, la trigonometria,
l'algebra, il calcolo
infinitesimale e l'astronomia». [25]
A capo della
scuola di Alessandria
Ipazia
«era giunta a tanta cultura da superare di molto tutti
i
filosofi del suo tempo, a succedere nella scuola
platonica riportata in
vita da Plotino e a spiegare a chi lo desiderava tutte
le scienze
filosofiche. Per questo motivo accorrevano da lei da
ogni parte tutti
coloro che desideravano pensare in modo filosofico».
[38] In
questo passo, Socrate Scolastico, scrivendo intorno al
440, indica che
ad Alessandria l'unica erede del platonismo
interpretato da Plotino era
stata Ipazia: diversamente, Ierocle, alessandrino di
nascita ma
formatosi ad Atene nella scuola del neoplatonico
Plutarco (350-430),
indica nel suo maestro l'erede della filosofia
platonica in una
successione che procede da Ammonio Sacca e, attraverso
Origene,
Plotino, Porfirio e Giamblico, giunge a Plutarco di
Atene. [39] Analoga
è la successione dei maestri neoplatonici indicata dal
più tardo Proclo, anch'egli membro della scuola
d'Atene. [40]
Un altro elemento
che viene sottolineato dalle fonti antiche è il
pubblico
insegnamento esercitato da Ipazia verso chiunque
volesse ascoltarla:
[50] l'immagine data di una Ipazia che insegna nelle
strade sembra
sottolineare un comportamento la cui audacia sembra
quasi voluta, come
un gesto di sfida e, a questo proposito, va rilevato
che quando Ipazia
comincia a insegnare, nell'ultimo decennio del IV
secolo, ad
Alessandria sono stati appena demoliti i templi
dell'antica religione
per ordine del vescovo Teofilo, una demolizione che
simboleggia la
volontà di distruzione di una cultura alla quale anche
Ipazia appartiene e che ella è intenzionata a
difendere e a
diffondere.
La
distruzione dei templi di Alessandria
I cosiddetti
decreti teodosiani, emessi dall'imperatore Teodosio I
tra il 391 [51] e
il 392, [52] avevano sancito la proibizione di ogni
genere di culto
pagano ed equiparato il sacrificare nei templi al
delitto di lesa
maestà punibile con la morte.
Socrate
Scolastico sottolinea la particolare insistenza del
vescovo Teofilo per
ottenere dall'imperatore decreti che mettessero fine
ad Alessandria ai
culti dell'antica religione: «per sollecitudine di
Teofilo,
l'imperatore ordinò di distruggere i templi degli
elleni in
Alessandria e questo avvenne per l'impegno dello
stesso
Teofilo». [53] Fu risparmiato il tempio di Dioniso,
che il
vescovo ottenne in dono dall'imperatore, per essere
trasformato in
chiesa: già da anni un altro storico edificio, il
Cesareo,
il tempio di Augusto, era stato trasformato in
cattedrale cristiana e
costituiva il luogo di celebrazione più importante
della
comunità cristiana.
Una particolare
resistenza opposero gli elleni alla distruzione del
Serapeo, il tempio
più antico e prestigioso della città,
«così adorno di atri con amplissimi colonnati, di
statue che sembrano vive e d'opere d'arte di ogni
genere, che nulla vi
è sulla terra di più fastoso all'infuori del
Campidoglio». [54] Oltre al culto di Giove Serapide,
vi erano
celebrati i culti di Iside e delle divinità egizie e
vi
erano custoditi i loro «misteri».
Teofilo
«fece tutto quello che era in suo potere per recare
offesa ai
misteri degli elleni», [55] esponendo pubblicamento
per
dileggio gli oggetti di culto dei templi distrutti. Il
gesto
provocò l'ultima resistenza degli elleni:
«sconvolti dall'insolito e insospettato evento, non
poterono
starsene tranquilli e tramarono tra loro una
cospirazione ai danni dei
cristiani; dopo aver ucciso e ferito molti di loro,
occuparono il
tempio di Serapide». [56] L'imperatore stesso, da
Costantinopoli, appoggiò la comunità cristiana,
sollecitando gli elleni a convertirsi: questi
abbandonarono il tempio,
che fu occupato dai cristiani. Il giorno prima della
sua distruzione
Olimpio, l'ultimo sacerdote del Serapeo, fuggì in
Italia.
Il conflitto di
potere
Nessuna fonte
attesta il comportamento tenuto da Ipazia durante
queste drammatiche
vicende, né gli eventuali rapporti intercorsi tra lei
e il
vescovo Teofilo. Sappiamo che il risalto ottenuto
nella
città di Alessandria dalla personalità di Ipazia
è immediatamente successivo a quei fatti e coincide
altresì con l’affermazione, prodottasi
nell’Impero orientale, del movimento politico e
culturale
degli elleni, sostenitori tutti della tradizionale
cultura greca
indipendentemente dalle singole adesioni a una
particolare religione.
La loro ascesa subì un arresto con l’avvento al
potere dell’Augusta Pulcheria, nel 414, per risalire,
con
alterna fortuna, nei decenni successivi, fino al
declino avvenuto a
partire dalla seconda metà del V secolo.
Il prestigio
conquistato da Ipazia ad Alessandria ha una natura
eminentemente
culturale, ma quella sua stessa eminente cultura è la
condizione dell'acquisizione, da parte di Ipazia, di
un potere che non
è più soltanto culturale: è anche
politico. Scrive infatti Socrate Scolastico: [57]
« Per
la magnifica libertà di parola e di azione che le
veniva
dalla sua cultura, accedeva in modo assennato anche al
cospetto dei
capi della città e non era motivo di vergogna per lei
lo
stare in mezzo agli uomini: infatti, a causa della sua
straordinaria
saggezza, tutti la rispettavano profondamente e
provavano verso di lei
un timore reverenziale »
Quasi un secolo
dopo, anche il filosofo Damascio riprende le sue
considerazioni: [58]
« era
pronta e dialettica nei discorsi, accorta e politica
nelle azioni, il
resto della città a buon diritto la amava e la
ossequiava
grandemente, e i capi, ogni volta che si prendevano
carico delle
questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da
lei, come continuava
ad avvenire anche ad Atene. Infatti, se lo stato reale
della filosofia
era in completa rovina, invece il suo nome sembrava
ancora essere
magnifico e degno di ammirazione per coloro che
amministravavno gli
affari più importanti del governo »
Alla morte di
Teofilo nel 412 successe all'episcopato di Alessandria
Cirillo. [59].
Secondo il resoconto di Socrate Scolastico, nel 414 ci
furono delle
violenze contro i cristiani ad opera di ebrei, alle
quali il vescovo
reagì cacciando gli ebrei da Alessandria e
trasformando in
chiese le sinagoghe: [60] entrò inoltre in conflitto
con il
prefetto della città, Oreste. Questi era stato
assalito da
alcuni monaci e ferito dal tiro di una pietra e il
colpevole venne
messo a morte, ma Cirillo gli tributò solenni onori
funebri,
attribuendogli il titolo di martire.
Poco dopo questi
avvenimenti avvenne l'uccisione di Ipazia, che era
invece stimata e
ascoltata da Oreste, da parte di alcuni monaci. La
responsabilità del vescovo Cirillo è riconosciuta
anche dalle fonti cristiane, in modo più o meno
esplicito.
All'epoca, la chiesa di Alessandria godeva di grande
prestigio per
essere stata campione dell'ortodossia contro l'eresia
ariana, mentre in
quegli anni era in corso la disputa cristologica tra
Cirillo e
Nestorio, patriarca di Costantinopoli, risolta solo
dopo la morte di
quest'ultimo (con il concilio di Calcedonia del 451)
con la condanna
del monofisismo. Ai riflessi di queste dispute si deve
probabilmente il
diverso atteggiamento delle fonti cristiane nei
confronti di Cirillo
(favorevole il monofisita Giovanni di Nikiu, contrari
l'ariano
Filostorgio e il costantinopolitano Socrate
Scolastico) e di
conseguenza i diversi punti di vista dei racconti
dell'uccisione di
Ipazia.
Cirillo era
grandemente apprezzato da Pulcheria, sorella
dell'imperatore Teodosio
II, ancora minorenne all'epoca dei fatti. L'inchiesta
per l'uccisione
di Ipazia si risolse con un nulla di fatto, ma i
temuti parabalanoi,
chierici "barellieri", che costituivano di fatto una
sorta di milizia
privata del vescovo, vennero posti sotto l'autorità
del
prefetto, in seguito ad una richiesta della comunità
di
Alessandria.[61]
Uccisione di
Ipazia
Nel marzo del
415, su ordine di san Cirillo di Alessandria, un
gruppo di cristiani
fanatici sorprese la filosofa mentre ritornava a casa,
la
tirò giù dalla lettiga, la trascinò
nella chiesa costruita sul Cesareion e la uccise
brutalmente,
scorticandola fino alle ossa (Secondo alcune fonti
utilizzando
ostrakois - letteralmente "gusci di ostriche", ma il
termine era usato
anche per indicare tegole o cocci), e trascinando i
resti in un luogo
detto Cinarion, dove furono bruciati.
Fonti:
DA:
http://it.wikipedia.org/wiki/Ipazia
"L'Intolleranza dei Cristiani nei confronti dei Pagani" di
Per Franco
Beatrice edizioni EDB -pag.: 52-57-58-59....