Iside ed Osiride

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Recensione ed approfondimento del Mito di Iside e Osiride

Dea Iside che allatta Horus

Iside allatta Horus [illustrazione da Wikipedia] C.C.

Iside Luminosa o Aset Webenut è il nome di una festività kemetica dedicata alla dea Iside, celebrata dal 4 al 6 luglio. La festa è legata alla vicenda simbolica della ricerca da parte della dea della sua controparte maschile, il dio Osiride. Le attività praticate in onore di questa ricorrenza sono soprattutto preghiere e rituali rivolti alla dea Iside, accompagnate dall'accensione di candele votive dopo il tramonto.

Luci e decorazioni 
Il tema fondamentale della ricorrenza è la luce, intesa come fonte energetica del divino, nonché emanazione di Iside nella sua lunga ricerca. Per questo la decorazione principale in questa festa sono le luci. Ogni kemetico può ravvivare la propria abitazione con candele e lampade colorate, celebranti la dea e simboleggianti la via divina che conduce alla verità. I membri della Casa di Netjer, in particolare, per l'occasione celebrano un rito in cui barchette di carta contenenti candele vengono lasciate galleggiare in un corso d'acqua. Questa usanza è molto significativa perché simboleggia il totale abbandono alla natura con lo scopo di poter giungere più facilmente alla comprensione del mistero divino, per un'unione mistica con gli Dèi. Le decorazioni utilizzate in questa occasione sono simboli legati alla dea Iside, come troni e sistri.

Storia 
Originatasi nell'antico Egitto, la festa di Iside Luminosa, era una delle ricorrenze più importanti del calendario. Oltre a decorare case, templi e barche con luci di ogni tipo, avevano particolare ruolo le processioni, tenute soprattutto la sera dopo il tramonto. Statue della dea Iside venivano trasportate di tempio in tempio e di villaggio in villaggio, cosicché le persone potessero partecipare al mistero della Ricerca, seguendo i carri ed intonando inni e preghiere.
 In epoca tardo imperiale romana, quando il culto isiaco sperimentò una capillare diffusione in tutta l'area mediterranea, la ricorrenza venne inserita anche nel calendario latino a partire dal IV secolo, sotto il nome di Lychnapsia o festival delle luci. Successivamente con l'imposizione del Cristianesimo e la sistematica estirpazione del Paganesimo, tutte le feste pagane furono soppresse, o, laddove fossero feste importanti e pertanto difficili da far scomparire, furono appositamente sovrapposte da feste cristiane, spesso con cerimoniali e significati simili. Il culto di Maria la Madonna, in particolare, oggi è risaputo che sia stato una derivazione cristianizzata del culto di Iside. Le testimonianze di ciò sono riscontrabili anche nell'iconografia tradizionale, in cui entrambe le figure divine femminili sono raffigurate con un bambino tra le braccia: Horus nel caso di Iside e Gesù nel caso di Maria. Le stesse processioni frequenti sono un elemento
 che probabilmente fu mantenuto dalla Chiesa cattolica per favorire la sostituzione del culto isiaco con il culto mariano.


Erodoto visita l’Egitto verso la metà del V sec. a.C. quando il regno dei faraoni, già da circa settantacinque anni (dal 525 a.C.) è dominato dai Persiani e i suoi abitanti, per reazione alla dominazione straniera, intensificano le manifestazioni più marcate della loro religione e, in particolare, della loro devozione verso Iside e Osiride.
Lo storico greco viene ammesso ad assistere a molte feste ed a visitare molti templi. Nelle sue Storie egli assimila Iside a Demetra e Osiride a Dioniso, per effetto delle affinità delle rispettive narrazioni mitiche, ma mantiene un contegno riservato sui rituali visti nei templi, poiché quella civiltà antica, con la sua storia millenaria e la sua solennità ieratica, gli ispira, come in ogni greco di quel tempo, un sentimento di profonda venerazione. La lingua della solenne liturgia del culto di Osiride è quella egizia, ma l’area di diffusione del culto non va oltre i confini di quello che era stato il dominio politico dei faraoni. E’, quello di Osiride, il culto più uniformemente diffuso in Egitto, la sua vera anima, il suo centro di coesione; esso ha radici antichissime ed alcuni aspetti dei suoi rituali sono d’ambito strettamente faraonico.
La testimonianza di Erodoto è la più antica, fra le fonti greche, sul culto di queste due divinità; ad essa, nel corso dei secoli, si aggiungeranno altre fonti, da Diodoro Siculo a Plutarco – quest’ ultimo con la sua opera De Iside et Osiride – ad Apuleio che, nelle sue Metamorfosi, descrive la sua esperienza d’iniziazione ai Misteri isiaci, fino a Porfirio, che rilegge i Misteri isiaci ed osiridei alla luce della filosofia neoplatonica, per giungere poi ai polemisti cristiani che, nella loro critica demolitrice dell’antico “paganesimo”, si adoperano per evidenziare quelle che considerano le incongruenze e gli aspetti “grotteschi” di questa antica spiritualità egizia, dimostrando, talvolta, scarsa comprensione per una differente sensibilità religiosa.
 Abbiamo una considerevole varietà di fonti, unitamente ai testi religiosi egizi, quali il Libro dei Morti e il Libro delle Piramidi, solo per citarne alcuni; tuttavia sappiamo poco del contenuto effettivo inerente al nucleo centrale dei Misteri isiaci, sul quale gli scrittori antichi, greci e latini d’età ellenistica ed imperiale, parlano poco, in osservanza della regola del segreto iniziatico cui sono tenuti tutti coloro che sono stati introdotti all’esperienza misterica.
 Vi è quindi una diversità fra il comportamento di Erodoto - il cui silenzio non è legato ad un’iniziazione misterica ma ad un rispetto reverenziale - e quello degli autori più recenti; si tratta di una diversità legata all’evoluzione storica del culto isiaco e di quello osirideo, sulla quale occorre soffermarsi, trattandosi di una storia lunga e complessa.
Tratto da 

Il culto e la sua storia


Osiride
Osiride [disegno ricavato da geroglifico]
 
Nella storia del culto di Iside e Osiride, la letteratura distingue due fasi diverse. La prima ha un ambito strettamente egiziano; alcuni aspetti del mito di Osiride e, soprattutto, del rituale, sono il fondamento della legittimazione sacrale del potere, della consacrazione della regalità faraonica. In linea più generale, essi hanno la loro radice nell’attenzione che gli antichi Egizi hanno per il post-mortem e le sorti dell’anima.
 La seconda fase è, invece, ellenistica, in cui, per effetto delle conquiste di Alessandro Magno, la cultura e la religione greca s’incontrano con quella egizia, come con altre, da quella babilonese a quella persiana, fino ai contatti ed agli interscambi con l’India. In questo periodo storico, i seguaci del culto non si reclutano soltanto nella terra d’Egitto, ma in tutto il mondo ellenistico e, poi, in tutto il mondo greco-romano. La dea Iside assume, inoltre, una posizione prioritaria nelle menzioni rituali e nella devozione e questa è una differenza importante rispetto al periodo precedente. I riti, pur essendo sostanzialmente gli stessi, hanno volto il loro originario carattere funerario a quello di pegno per l’immortalità beata di coloro che vi sono introdotti. In altri termini, dal rituale di sostegno in favore del defunto che deve affrontare le prove del post-mortem, secondo la concezione espressa nel Libro dei Morti, si passa al
 rituale in funzione di preparazione in vita al post-mortem e quindi di esperienza della vicenda di morte e rinascita, come narra Apuleio. Il mito di Osiride smembrato da Tifone-Seth e ritrovato e ricomposto da Iside, sorella e sposa di Osiride, diviene il modello e il fondamento di due rituali diversi nelle loro funzioni e finalità. Dal rito funerario si passa quindi al rito misterico ed alle conseguenti procedure d’iniziazione. Il culto isiaco-osirideo si diffonde in tutto il bacino del Mediterraneo e i santuari isiaci si ritrovano in tutte le più importanti città del mondo antico e, soprattutto, in quelle marittime, dove, per effetto dei traffici, è più frequente la presenza di mercanti egiziani provenienti da Alessandria, il più importante emporio marittimo del mondo antico. In Italia, la sua presenza è attestata a Puteoli sin dalla fine del II secolo a. C, nonché a Pompei, nel corso del I secolo a.C ed a Neapolis, dove è presente una
 colonia alessandrina, nella regio Nilensis, di cui tuttora la toponomastica cittadina conserva il ricordo (Via Nilo). Dalla Campania il culto dev’essere penetrato a Roma, già intorno all’80 a.C. , ai tempi di Silla, periodo per il quale è attestata una confraternita di Pastofori, secondo la testimonianza di Apuleio (Metamorfosi, 11, 30).
Fra romanità conservatrice e romanità cosmopolita
 A Roma il culto conosce vicende alterne, legate alle diverse tendenze culturali, religiose e politiche interne alla società romana e, quindi, al loro diverso modo di porsi rispetto a certi culti stranieri. Sul finire della Respublica (I sec.a.C.), il governo, allarmato dal numero dei seguaci che il culto raccoglieva nei ceti più popolari, tenta invano di arginare il fenomeno.
E’ una linea politico-religiosa in parte analoga a quella che era stata adottata, molto tempo prima, nei confronti del culto dionisiaco, quando il Senato romano, col Senatusconsultum de bacchanalibus del 189 a. C., aveva proibito questi riti orgiastici notturni, peraltro segnati dalla problematica preminenza, dal punto di vista della mentalità patriarcale romana, del ruolo sacerdotale femminile.
 La preoccupazione della classe dirigente romana, in quel caso, concerneva l’infiacchimento e la mollezza che quei rituali potevano suscitare nella gioventù romana, allontanandola dallo spirito virile e combattivo che aveva consentito a Roma, insieme ad un complesso di altri fattori, di assumere e consolidare un ruolo egemone in Italia prima e nel Mediterraneo poi. Il problema, in quel caso, era stato politico e religioso al tempo stesso, ma anche di costume e di cultura. Per il culto isiaco, oltre un secolo dopo, il problema si pone per la lontananza del fervore devozionale dei seguaci della dea rispetto alla tradizionale gravitas romana.
Nel 58, nel 56, nel 54 e nel 50 si hanno vari provvedimenti di soppressione delle associazioni isiache e del loro culto. La frequenza stessa di questi provvedimenti dimostra la loro inefficacia e la persistenza ed il radicamento del culto. Nel 50 il console Paolo Emilio, non trovando nessuno che volesse eseguire il provvedimento, afferra egli stesso l’ascia per piantarla nella porta del tempio isiaco di cui era stata ordinata la distruzione, stando alla testimonianza di Valerio Massimo (I, 3). Nel 48, Iside e Serapide sono di nuovo oggetto di culto sul Campidoglio e nel 43 i triumviri, forse per conquistare i favori del popolo, decretano un tempio ad Iside e Serapide.
Augusto, pur avendo una nota ostilità verso l’Egitto e tutte le sue manifestazioni (memore dell’aiuto trovato da Antonio nel regno di Cleopatra) e pur attuando un programma di restaurazione dei culti e dei sacerdozi della religione romana arcaica, non si spinge fino a proibire il culto isiaco, ma lo relega fuori del pomerio, la cinta sacra dell’Urbe. Tiberio ha invece un atteggiamento più deciso e chiaro, ordinando la demolizione del tempio di Iside e facendo gettare nel Tevere il simulacro della dea. Ben diverso è l’atteggiamento degli imperatori successivi, quali Caligola e Claudio, i quali favoriscono il culto isiaco, nonché Nerone che mostra una speciale preferenza per le divinità egizie.
 Vespasiano e Tito trascorrono nel tempio di Iside la notte che precede la cerimonia del loro trionfo sui Giudei, come narra lo storico Giuseppe Flavio (Bellum Judaeum, 7, 5, 4). Domiziano fa ricostruire l’Iseo dopo l’incendio dell’80 e lo consacra nel 92. Adriano fa costruire nella sua villa suburbana il Canopo (in origine un sobborgo di Alessandria d’Egitto, con un celebre santuario di Serapide) nel quale sono stati rinvenuti numerosi esemplari dell’arte egizia.
Commodo è così fanaticamente devoto del culto isiaco – con quella scompostezza che tanto lo differenzia da suo padre, l’imperatore-filosofo stoico Marco Aurelio – che si fa radere il capo sul modello dei sacerdoti egizi di Iside e porta egli stesso nelle processioni il simulacro di Anubi (Lampridio, Commodo, 9).
Caracalla – l’imperatore della famosa Consitutio Antoniniana che estende la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero – edifica due santuari di Iside, uno sul Quirinale ed un altro sul Celio, da cui proviene il nome alla regio III (Isis et Serapis).
Il culto isiaco raggiunge il culmine della sua espansione e della sua legittimazione con la dinastia imperiale dei Severi, nel III secolo, mentre il IV secolo – fatta eccezione per Flavio Giuliano, autore di un Inno alla Madre degli dèi – è segnato dal declino dei culti pagani e da una legislazione imperiale sempre più restrittiva verso i sacra maiorum. L’epilogo di questo processo si ha nella distruzione del tempio di Serapide ad Alessandria nel 391 d.C., da parte dei seguaci della religione cristiana.
Esotismo religioso ed assolutismo imperiale.
 Questo breve excursus storico non è finalizzato a soddisfare una mera curiosità antiquaria; la conservazione della memoria storica è decisiva per ben inquadrare il complesso rapporto che intercorre fra la spiritualità romana e quella egizio-ellenistica, tendo conto del pluralismo religioso romano, del rispetto che i Romani avevano verso altri Misteri, come quelli di Samotracia (cfr. il mio articolo sui Misteri di Samotracia, Hera, n° 72), della loro apertura a culti anch’essi stranieri, come quello di Mithra, di lontana origine iranica, che presentava però tratti di austera e severa disciplina, più affini alla gravitas romana.
Ecco, è questo il punto centrale: Roma guarda con diffidenza a quelle forme di religiosità che, suscitando intensi sentimenti di devozione e di fede fra i ceti popolari, implicano il rischio di snaturare il tradizionale “spirito” romano, il suo stile asciutto ed essenziale, il suo contegno austero e composto, anche e soprattutto nel momento rituale, nel rapporto col divino.
Non è certo un caso che Augusto releghi l’Iseo fuori del pomerio e che gli imperatori più miti, come indole e come concezione del potere – quali, ad esempio, Traiano, Antonino Pio, Marco Aurelio – non mostrino segni di particolare predilezione o di ostentata adesione verso il culto isiaco e verso quelli egizi in generale. L’unica eccezione è quella di Adriano, del quale va però considerata la formazione culturale spiccatamente ellenistica, l’amore per i viaggi e per la conoscenza diretta dei popoli dell’Impero e delle relative culture.
 Gli imperatori più favorevoli al culto isiaco sono, non a caso, quelli che, nella storia dell’Impero, incarnano la tendenza assolutistica, sul modello dei sovrani orientali dei regni ellenistici, da Caligola a Nerone a Domiziano, fino ai Severi che rappresentano il tratto più militare del potere imperiale romano.
La vicenda mitica di Osiride - ritrovato e ricomposto da Iside - Signore dell’oltretomba, assimilato dai greci a Dioniso, offre un modello di legittimazione ideologico-religiosa del potere imperiale, della perpetuità dell’Impero che sempre nuovamente si incarna come principio in un nuovo imperator, nel corso della successione al trono.
Tuttavia, il culto di Iside, al di là dell’uso strumentale che vari imperatori ne fanno, si radica nel mondo romano in circa cinque secoli di storia, rispondendo, evidentemente, ad un bisogno di contatto diretto con la divinità che la religione romana tradizionale, nella sua ufficialità liturgica, non riesce più a soddisfare.
La dea “myrionima” (dai molti nomi) riassume in sé l’archetipo della Dea madre, ordinatrice dell’universo, datrice di Vita spirituale, donatrice dell’Acqua di Vita, apportatrice di Fortuna, secondo quella tendenza, tipica del paganesimo tardo-imperiale a riassumere in una sola divinità le molteplici presenze divine, viste come espressioni di un’Entità unica, Numen multiplex, come dicevano gli Antichi.
Di questo culto, dei suoi aspetti più profondi di carattere misterico, dei suoi rituali d’iniziazione, del significato di questi Misteri sub specie interioritatis, intendiamo parlare, in modo approfondito, in un successivo contributo per questa rivista.
* * *
Tratto dalla rivista Hera, n°74, marzo 2006.

Stefano Arcella


ISIDE

Ricerca di Manuela Caregnato


L'archetipo
Iside appartiene alla categoria delle grandi Dee Madri, in quanto Dea di fertilità che insegnò alle donne d'Egitto l'agricoltura.

Tuttavia le sue imprese e i suoi attributi fanno di Lei l'archetipo per eccellenza dell'anima compagna. La sua devozione ad Osiride fu tale che Lei potè salvarlo dalla morte per ben due volte, ricomponendone i pezzi e restituendogli la vita.
 

Iside rappresenta la ricerca suprema dell'anima gemella, l'uso consapevole del potere femminile dell'amore e del misticismo.


Il mito
Iside, originaria del Delta, è la grande Dea della maternità e della fertilità nella mitologia egizia.
Forte dei suoi molteplici talenti e della sua magnificenza, Iside è altresì rivelatrice della forza di una donna che ama e del potere della sofferenza che tutto trasforma.
Iside dalle braccia alate, prima figlia di Nut, il cielo che tutto abbraccia, e del dio della piccola terra Geb, nacque nelle paludi del Nilo il primo giorno di uno dei primi anni della creazione.

Fin dal principio Iside rivolse un occhio benevolo sul popolo della terra, insegnando alle donne a macinare il grano, a filare il lino, a tessere e ad addomesticare gli uomini a sufficienza per riuscire a vivere con loro. La stessa Dea viveva col proprio fratello Osiride, dio delle acque del Nilo e della vegetazione che spunta dall’inondazione delle sue rive.
Una volta raggiunta l’età adulta, Iside andò in sposa al fratello Osiride. L’armonia che li circondava era tale che tutti ne rimanevano piacevolmente coinvolti. Le loro giornate scorrevano all’insegna del nutrimento del mondo; i poteri di Iside associati a quelli di Osiride facevano sì che il cibo scaturisse a profusione dal ricco suolo egiziano e dal fertile Nilo.

Le loro notti erano scandite dall’estasi dell’amore; non vi era luna o stella che potesse offuscare la loro passione.



Tutti amavano Iside e Osiride – tutti tranne Set, il loro gelosissimo fratello.
Per porre fine al loro dominio idilliaco, Set assassinò Osiride e ne depose il cadavere in una bara, intorno alla quale, col tempo, crebbe un grande albero.

La Dea, travolta dal dolore si tagliò i capelli e si strappò le vesti soffrendo per la perdita subita. Setacciò ogni angolo alla ricerca del suo innamorato e dopo molto vagare giunse in Fenicia, dove la regina Astarte fu presa da pietà per lei senza tuttavia riconoscerla e la prese come nutrice del principe ancora bambino.
 

Iside curò tanto bene il piccolo da metterlo come fosse stato un ciocco nel focolare del palazzo, dove la madre, terrorizzata, lo trovò fumante. Essa afferrò il piccolo e lo estrasse dalle fiamme, annullando in tal modo la magia che Iside stava effettuando su di lui per dargli l’immortalità. Iside fu chiamata a spiegare il suo comportamento e così venne rivelata l’identità della Dea e raccontata la sua ricerca. Allora Astarte ebbe a sua volta una rivelazione: che il fragrante albero di tamarindo nel giardino conteneva il corpo del perduto Osiride.

Iside riportò finalmente il cadavere in Egitto per sepellirlo ma il malvagio Set non si diede per vinto: animato dalla più feroce crudeltà, tagliò Osiride in quattordici pezzi che sparpagliò attraverso l’Egitto.

Senza perdersi d’animo, Iside si trasformò in uccello e percorse il Nilo in lungo e in largo, raccogliendo ogni frammento di Osiride. Nel collocare ciascun frammento l’uno accanto all’altro, servendosi della cera per unirli, Iside si accorse che mancava il fallo di Osiride; per questo motivo, essa ne plasmò uno nuovo usando l’oro e la cera.

Successivamente, grazie ai suoi poteri magici, Iside fece rivivere Osiride per un breve lasso di tempo. Fu in questa occasione che inventò i riti di imbalsamazione per cui gli egizi sono ancora famosi e li eseguì sul corpo di Osiride, pronunciando delle formule magiche: il dio risorse vivo come lo è il grano dopo le inondazioni primaverili in Egitto. E la magia del loro amore le permettè di concepire un figlio suo.
 

Quel bambino, il dio Horus con la testa di falco, divenne forte e possente – e la sua forza lo spinse a vendicarsi di Set per l’assassinio di Osiride. Ma Iside, madre di tutte le cose, non gli permettè di distruggerlo fino in fondo.

Su Iside esiste un altro racconto.
Decisa ad avere il potere su tutti gli altri dei, essa forgiò un serpente e lo mandò a mordere Rà, il maggiore degli dei. Ammalatosi e sempre più debole, Ra mandò a chiamare Iside perché applicasse i suoi poteri curativi alla ferita. Ma la Dea dichiarò di non avere il potere di liberarlo dal veleno se non sapeva il nome segreto del dio, il suo nome di potenza , la sua essenza. Ra esitò e tergiversò, ma diventava senpre più debole. Infine in preda alla disperazione fu obbligato a bisbigliare il nome a Iside. Lei lo guarì ma Rà aveva pagato il prezzo per darle un potere eterno su di lui.

ll culto
Il culto e la religione di Iside-Osiride fu molto lunga (migliaia di anni) e subì forti variazioni fra la forma antica, 3000 AC e la forma ellenistica con misteri e iniziazioni (500 AC, di cui abbiamo notizie da Plutarco).

Iside fu una delle divinità più famose di tutto il bacino del Mar Mediterraneo. Dall'epoca tolemaica la venerazione per la dea, simbolo di sposa e madre e protettrice dei naviganti, si diffuse nel mondo ellenistico, fino a Roma. Da qui il suo culto, diventato misterico per i legami della dea con il mondo ultraterreno e nonostante all'inizio fosse ostacolato, dilagò in tutto l'impero romano.

Quando era nata in Egitto, il nome della Dea era Au Set che significa regina eccellente o semplicemente spirito. Ma i greci colonizzatori alterarono la pronuncia fino a farne il nome familiare Iside, un nome che venne usato per generazioni allorchè il culto della Dea si diffuse dal delta del Nilo alle rive del Reno. Come Ishtar, anche Iside assume le identità di dee minori finchè fu riverita come la Dea universale della cui femminilità totale le altre dee rappresentavano solo dei singoli aspetti.
Essa divenne la signora dai diecimila nomi il cui vero nome era Iside.
Poi crebbe diventando Iside panthea (tutte le dee).

Durante il suo sviluppo nell' impero romano il culto di Iside si contraddistinse per processioni e feste in onore della dea molto festose e ricche. Le sacerdotesse della dea vestivano solitamente in bianco e si adornavano di fiori; a Roma, probabilmente a frutto dell' influenza del culto autoctono di Vesta, dedicavano talvolta la loro castita' alla dea Iside.
Nella forma più antica invece, Osiride era la Luna e Iside la natura, Urikkitu, la Verde. Ma in seguito essa divenne la luna – sorella, madre e sposa del dio della luna.

Era la moglie dolente e tenera sorella, era colei che apportava la cultura e dava la salute.
Era il trono e la quindicina di dee. Era una forma di Hathor oppure questa era una sua forma. Era anche Meri, la dea del mare e Sochit il campo di grano.
 

 Ma rimase eternamente per i suoi fervidi seguaci la venerata dea che era essa stessa tutte le cose e che aveva promesso: “vivrete nella grazia, vivrete gloriosi nella mia protezione e quando avrete compiuto tutto il tratto di via che vi è stato assegnato e scenderete nel mondo sotterraneo, anche lì vedrete me, così come mi vedete ora, splendente… e se vi mostrerete obbedienti alla mia divinità, saprete che io sola vi ho permesso di estendere la vostra vita al di là del tempo assegnatovi dal vostro destino”.

Iside che vinse la morte per riportare il suo amato alla vita, può con altrettanta facilità abolire la morte per i suoi seguaci pieni di fede. Solo l’onnipotente Iside era colei che poteva proclamare: io vincerò il fato.

 

Attributi
Iside, La luna, è anche Madre Natura, che è sia buona che cattiva. Tollera tutte le cose, proprio come nel mito non permette a Horus di distruggere fino in fondo il Tifone-Set, in quanto crescita e decadenza sono le componenti inevitabili della natura.
Iside viene mostrata mentre decreta che non potrebbe esserci armonia perpetua, se il bene fosse sempre nell’ascendente. Essa, al contrario, delibera che vi sia sempre un conflitto fra le potenze della crescita e quelle della distruzione.
Iside aveva due aspetti: Natura e Luna. Essa era la madre, la creatrice, la nutrice di tutto, ed era anche la distruttrice.
Il suo nome, Iside, significa antico ed era chiamata anche Maat, che significa Conoscenza o Sapienza.

Iside è Maat, la Sapienza Antica. Ovvero la sapienza delle cose come esse sono e come sono state sempre, la capacità innata, intrinseca di seguire la natura delle cose sia nella loro natura presente sia nel loro inevitabile sviluppo nel rapporto reciproco. E’ la sapienza dell’istinto.
Iside era vergine e madre, spesso rappresentata col bimbo in braccio.
Iside, nel periodo del lutto, era vestita di nero, oppure era essa stessa nera. Come la grezza e mediocre vergine nera dei santuari europei, pallido riflesso della Dea;
 essa era anche Dea della guarigione.

Di Iside era detto: “dove tu guardi pietosa, l’uomo morto ritorna in vita, il malato è guarito”.
Le statue nere di Iside possiedono anche un altro significato. Plutarco dice che “tra le statue quelle con le corna sono rappresentazioni della sua luna crescente, mentre quelle vestite di nero i modi occulti e nascosti in cui essa segue il Sole – Osiride – e brama di unirsi con lui. In conseguenza a ciò essi invocano la luna per le questioni amorose e Eudosso dice che Iside regna sull’amore.”


Il velo di Iside
Il velo colorato di Iside è simile al velo di Maya di cui parla la filosofia indiana.
Esso rappresenta le molteplici forme della natura nelle quali è rivestito lo spirito.
L’idea è che lo Spirito Creativo si rivestì in forme materiali di grande diversità e che l’intero universo che noi conosciamo fu fatto in questo modo, è cioè la manifestazione, sotto forma materiale, dello spirito dei Creatori.
Plutarco disse : Iside è il principio femminile della natura e quello che è in grado di ricevere tutto ciò che è creato; a causa di ciò è stata chiamata “Nutrice “ e “Omni-ricevente” da Platone…
 

Perciò la veste o velo di Iside è la forma continuamente mutevole della natura, la cui bellezza e tragedia vela ai nostri occhi lo spirito. Questo perpetuo gioco reciproco nel mondo manifesto, che comprende gli oggetti esterni, gli alberi, le colline, e il mare, come pure gli altri esseri umani ed anche noi stessi, i nostri corpi, le nostre reazioni emotive, l’intero dramma del mondo, ci sembra possedere una tale realtà assoluta che non pensiamo a metterla in dubbio. Tuttavia in alcuni momenti di particolare intuizione, indotti forse dal dolore o dalla sofferenza o da una grande gioia, possiamo improvvisamente renderci conto che ciò che costituisce l’ovvia forma del mondo, non è quella vera, quella reale.
 

E’ detto che l’essere vivente viene afferrato nella rete o velo di Iside, e ciò significa che alla nascita dello spirito, la scintilla divina che è in ognuno, fu incorporata o afferrata nella carne.

Iconografia
Iside è spesso simboleggiata da una vacca, in associazione con Hathor, ed è raffigurata con le corna bovine, tra le quali è racchiuso il sole. Nell'iconografia è rappresentata spesso come un falco o come una donna con ali di uccello e simboleggia il vento. In forma alata è anche dipinta sui sarcofagi nell’atto di prendere l’anima tra le ali per condurla a nuova vita. Solitamente viene raffigurata con una donna vestita, con in testa il simbolo del trono, che tiene in mano un loto, simbolo della fertilità. Frequenti anche le rappresentazioni della dea mentre allatta il figlio Horo. Il suo simbolo è il tiet, chiamato anche nodo isiaco, che si trova utilizzato per assicurare le vesti egiziane. L'esatta origine del simbolo è sconosciuta, ma probabilmente rappresenta la resurrezione e la vita eterna.



Simboli
Nei rituali pubblici celebrati in suo onore, nella festa della fertilità, e nel mese di Hathor, novembre, erano portati in processione un fallo, rappresentante Osiride, e un vaso pieno di acqua che lo precedeva. La coppa e il fallo sono gli eterni simboli della generazione che ricorrono sempre. Li troviamo nei riti primitivi – la torcia, che è chiamata l’uomo, e la coppa in cui penetra, che è detta la donna. Il foro nella terra al centro dell’accampamento in cui ogni soldato romano gettava la sua lancia; il calice del santo graal, nel quale era conficcata una lancia che faceva gocciolare eternamente sangue, la sacra fonte battesimale fertilizzata dall’immersione della candela accesa.


Rito di Iside : la trasformazione di Osiride
Come accade da tempo immemore, l’intensa vicenda di Osiride dona forza e speranza alle donne afflitte dalla perdita dell’amato compagno. Essa ci svela in che modo possiamo far scaturire la speranza dall’abbandono – come è avvenuto attraverso la mistica resurrezione di Osiride operata da Iside.
 

Nell’antico Egitto, il mito di Iside e Osiride veniva proposto ogni anno nell’ambito di un sontuoso rito in segno di lutto. Questa cerimonia costituiva uno dei più importanti riti religiosi, che permetteva a chi ne prendeva parte di sperimentare le dolorose emozioni della dea mentre ricercava spasmodicamente il marito-fratello, che poi avrebbe pianto con strazio immane. Gli astanti percepivano altresì la gioia in seguito alla rinascita di Osiride nelle sembianze del figlio Horus.
Quando non si è manifestato appieno il riconoscimento del dolore, esso fluisce in tutti gli altri aspetti della vita, tingendola di nero. La sofferenza di Iside durante la disperata ricerca di Osiride da un capo all’altro del Nilo è indicativa del difficile viaggio che dobbiamo intraprendere per affrontare il dolore e trasformarlo.
 

Onde favorire la trasformazione della pena che vi affligge, plasmate un piccolo cuore – il vostro cuore infranto – utilizzando un foglio di allumnio. Mentre scolpite questo talismano, pensate a Iside e alla sua vicenda, ma pensate anche alla vostra vicenda. Fate confluire nella vostra energia tutto il dolore del vostro cuore infranto, con la saggezza che ne deriva.
Riempite quindi una ciotolina a fondo piatto con dell’acqua salata come le lacrime.
 

Al centro della ciotolina, ponete una candela larga e massiccia. Accendete la candela. Dopo che si sarà sciolta una minuscola quantità di cera, intingetela nel vostro talismano a forma di cuore. Immaginate che la cera stia ricomponendo i frammenti del vostro cuore, come ha fatto con il corpo di Osiride. Nel fare ciò, dite:

Lacrime in acqua salata, cera in metallo
Iside, fai cessare le mie lacrime, trasforma il mio dolore.
Guarisci il mio cuore perché possa amare ancora.

A questo punto spegnete la candela.

Ripetete il rito della candela con il vostro talismano per quattordici notti, aggiungendo man mano l’acqua salata che occorre. Trascorso questo periodo, prendete il cuore coperto di cera e seppellitelo vicino ad un albero affinché Iside lo possa trovare e guarire, come ha fatto con Osiride. Infine versatevi sopra la rimanente acqua salata.


Tratto e riassunto da:
"il dizionazio delle Dee e delle Eroine" di Patricia Monoghan
" I misteri della donna" M. Esther Harding
La Dea Interiore., Kris Waldherr
Wikipedia

Riferimenti:
http://www.anticoegitto.net

  


Bak

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