Reincarnazione

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Reincarnazione


Paganesinto e reincarnazione - Piero Trevisan

In questi ultimi due secoli, grazie anche ai crescente processo di scristianizzazione dell’Occidente, si è potuto constatare un
diffondersi, o meglio un ri-diffondersi della dottrina della reincarnazione, spesso attraverso la diffusione di credenze e culti orientali, magari
annacquati, mescolati con elementi estranei e reinterpretati alla luce della mentalità occidentale.
Normalmente, la gente è convinta che la reincarnazione sia un’invenzione tutta orientale e che in Occidente essa sia una credenza nuova;
in realtà la fede nel ciclo delle rinascite esisteva già prima in Europa ed è stata temporaneamente cancellata dall’avvento del Cristianesimo.
Chiunque conosca almeno un po’ della religione e della filosofia elleniche, sa bene che nell’antica Grecia erano particolarmente diffusi
culti che predicavano la reincarnazione, i cosiddetti misteri orfici, dal nome del mitico poeta Orfeo che li fondò dopo aver  visitato l’Ade,
nel vano tentativo di riportare in vita la sposa Euridice.
E altrettanto si sa che l’Orfismo ha influenzato alcuni dei maggiori filosofi greci, come Pitagora e Platone, i quali a loro volta insegnarono ai loro discepoli la dottrina della reincarnazione. Ed è forse bene ricordare che i Pitagorici ebbero all’inizio il loro centro di diffusione nella città italica di Crotone, allora colonia greca, prima di subire la persecuzione di chi temeva il loro crescente potere. Ne consegue che la dottrina della reincarnazione non è affatto nuova sul suolo italiano, e non proviene necessariamente da fonti
orientali.
Per i seguaci dei misteri orfici e dionisiaci, ogni essere umano o animale era portatore di un daimon immortale e divino, termine che traduciamo in italiano con “demone’, ma che nella religione ellenica sta a significare uno spirito intermediario fra gli Dei e gli uomini, e che poteva essere sia buono che malvagio, a seconda delle situazioni, esattamente come gli esseri umani.
Nella religione ellenica, fra daimones e uomini mortali c’era una certa affinità, una parentela, e infatti per gli Orfici gli esseri umani non
erano altro che daimones incarnati. Per altri, invece, i daimones erano uomini antichi divinizzati dopo la morte, come ci testimonia Esiodo riguardo gli uomini dell’Età dell’Oro, che dopo la morte, per il loro alto rango, erano divenuti divinità minori, risiedenti negli Inferi.
Secondo queste dottrine, in origine i daimones vivevano tutti nel regno degli Dei, nelle sfere celesti, ma in seguito a una non ben identificata colpa - la cui natura forse era rivelata solo agli iniziati di questi culti misterici una parte di essi erano caduti nel mondo fisico, visto come luogo di sofferenza e punizione. Probabilmente, tale colpa fu appunto l’essersi innamorati della materia, l’aver desiderato dei corpi di carne per goderne i piaceri.
Pare che fosse questa infatti la dottrina sulla caduta delle anime nella materia presso certi culti successivi che mescolavano i misteri ellenici con le religioni mediorientali ed egiziane come, per esempio, il culto di Iside.
I daimones incarnati avevano così preso a passare da un corpo all’altro, sia corpi umani che animali, in una catena che li teneva prigionieri, e che poteva essere spezzata solo dalla pratica dei culti misterici.
Per gli Orfici, il corpo non era una realtà positiva, bensì “il carcere dell’anima” o anche la tomba dell’anima’, da cui bisognava cercare di
liberarsi per riconquistare la propria originaria natura divina.
Questa dottrina si è poi trasmessa alle correnti della filosofia pitagorica e platonica, con la differenza che la liberazione dalle rinascite
non era data dalla pratica del culto misterico, quanto piuttosto dalla contemplazione filosofica dello spirituale e del divino, contemplazione razionale che però non esclude la contemplazione mistica, ma anzi s’integra con essa.
Sul finire del Paganesimo classico, la filosofia mistica neoplatonica aveva finito col mescolarsi con le dottrine della teurgia, dottrina in
gran parte di derivazione orientale, una sorta di tecnica magico-religiosa atta a stabilire un contatto mistico con gli Dei tramite particolari
rituali di evocazione, in modo da ottenere da loro rivelazioni sul mondo ultraterreno e divino, che non sarebbe stato possibile ottenere
con la sola forza della ragione. L’imperatore Giuliano era stato fra i seguaci di queste dottrine pagane di tipo mistico(i).
Non si può non notare qui l’assonanza con le dottrine tipiche dell’induismo e del Buddismo: l’idea del ciclo delle rinascite come “condanna”, il disprezzo della corporeità e della vita sensibile, in particolar modo dell’attività sessuale, e anche del mondo dei desideri e delle ambizioni personali, e dia necessità di una vita ascetica e contemplativa per liberarsi dal corpo definitivamente, per accedere al mondo dell’aldilà, visto come il totalmente incorporeo.
Queste dottrine, diffondendosi sia a Oriente che a Occidente, finirono con l’influenzare anche le religioni monoteistiche, in particolar
modo l’ebraismo, che non aveva avuto originariamente una specifica dottrina sull’Aldilà, a differenza del Cristianesimo e dell’islamismo,
e che quindi poteva anche accogliere dottrine estranee sull’escatologia, senza dover modificare sostanzialmente la propria teologia, cosa che ha fatto ampiamente.
Forse il mito ebraico degli angeli ribelli caduti dal mondo dei cieli sulla Terra per aver voluto fare l’amore con le donne umane è un eco, un
simbolo delia credenza nella caduta dei daimones dell’Orfismo adattata all’Ebraismo. Gli angeli caduti sarebbero il simbolo degli spiriti
divini, e le donne umane i corpi di carne da cui gli spiriti si lasciano attirare, auto-condannandosi al mondo della materia
“peccaminosa”.
Tuttavia, la reincarnazione non è mai diventata patrimonio stabile della cultura ebraica. Tantomeno lo è diventata del Cristianesimo e dell’islamismo, anche se ci sono e ci sono stati cristiani e musulmani che hanno abbracciato tali credenze.
Oltre a Greci ed Indiani, c’è stato un altro popolo indoeuropeo che, prima di convertirsi al Cristianesimo, sembra aver creduto diffusamente alla reincarnazione: i Celti. Gli autori classici ci dicono che la loro casta sacerdotale, i Druidi, possessori di “una grande
sapienza filosofica”, predicavano la reincanazione e persino la distruzione e rinascita cicliche del mondo, esattamente come presso gli
Indiani, che credevano che il mondo venisse ciclicamente distrutto da un cataclisma per poi essere rigenerato nella stessa identica maniera
che nel precedente inizio, secondo un ciclo sempre uguale ed eterno. Anche il cosmo, per Druidi e Brandni, seguirebbe il ciclo delle reincarnazioni proprio come i suoi abitanti, Purtroppo, l’insegnamento dei Druidi era solo orale, non potendo essere divulgato in alcun modo ai non-iniziati, e perciò è andato
completamente perduto o quasi. Tuttavia, queste poche testimonianze lasciate dagli autori classici hanno indotto alcuni studiosi a
immaginare che Orfismo. Induismo e Druidismo, essendo tutte religioni di popoli indoeuropei, abbiano avuto origine da un’unica religione originaria, in cui credevano gli antichi indoeuropei prima di disperdersi in Europa ed in Asia. La somiglianza poi fra la casta dei Druidi e quella dei Bramini in India rafforzerebbe questa tesi.
Si tenga conto che praticamente tutti gli antichi popoli non-indoeuropei del Vecchio Mondo non sembrano aver avuto la credenza della
reincarnazione nelle loro religioni originarie. I popoli semiti del Medio Oriente credevano, come gli Ebrei, che i morti andassero in un
triste e oscuro regno sotterraneo, e là dovessero rimanere.
Gli egiziani credevano nella resurrezione dei morti nel regno dell’Amenti, posto nel cielo del nord o nel lontano occidente, e ogni
defunto doveva riprendere solo il proprio corpo, e non un anima. La dottrina della reincarnazione è stata introdotta presso gli Egizi solo dal contatto con i Greci.
Gli Etruschi. anch’essi non indoeuropei, credevano in una specie di giardino di delizie, un Elisio, e non sembra che ci siano tracce di fede
in una rinascita in corpi terreni. Tuttavia la civiltà etrusca è ancora così poco conosciuta che non so se è legittimo fare affermazioni definitive sulla sua religione.
I Cinesi, prima dell’avvento del Buddismo, originario dell’india, credevano che le anime andassero per sempre in ciclo o in un regno sotterraneo in tutto identico a quello terreno, e quando conobbero le dottrine reincarnazioniste buddiste, cioè di origine indoeuropea, all’inizio le considerarono “empie”, da tanto erano loro estranee.
Del pari anche gli antichi Giapponesi pare che credessero originariamente in un Ade non dissimile da quello omerico o dallo Sheol  degli
antichi Ebrei, o che gli spiriti dei defunti si Fondessero con la natura, divenendo spiriti elementari.
La dottrina della reincarnazione sembra dunque un’acquisizione relativamente recente nella storia dell’umanità, almeno nelle forme che noi conosciamo. Ceno, tali dottrine sono presenti anche presso popolazioni che non hanno nulla a che vedere con i popoli indoeuropei. Dottrine reincarnazioniste si trovano anche nell’America precolombiana e in Oceania, ma si tratta di fenomeni
secondari
rispetto ai grandi movimenti religiosi del Vecchio Mondo, i quali hanno segnato maggiormente lo sviluppo delle civiltà.
E un altro particolare è importante ribadire: la reincarnazione è una caratteristica più che altro delle religioni politeistiche, o che non
hanno fatto del monoteismo assoluto il loro assunto centrale come, per esempio, il Buddismo, che non viene classificato dalla storia delle religioni né come un vero monoteismo né come un vero e proprio politeismo.
Il monoteismo, l’abbiamo detto, predilige l’idea che all’uomo è data una sola vita, una sola scelta e una sola possibilità. Anche il Mazdeismo e il Babaismo, religioni monoteistiche persiane, predicano la dottrina del paradiso e dell’inferno dopo la vita terrena, con la sola differenza, rispetto agli altri monoteismi, che solo il paradiso è eterno, mentre l’inferno è temporaneo anche per i peggiori peccatori. Non ho ancora dati invece riguardo il Sikhismo, religione monoteistica indiana, nata nel ‘600 dal tentativo di fondere
l’induismo con l’islamismo.
Anche se si può concepire l’idea di un monoteismo che insegni anche la dottrina della reincarnazione, personalmente sono scettico
riguardo la possibilità che in futuro possa mai nascere e affermarsi una religione del genere, in quanto il reincarnazionismo non è per
puro caso che è nato e cresciuto nel politeismo e non nel monoteismo.
Se si riflette un attimo, è perfettamente coerente che il monoteismo rifiuti in genere l’idea della reincamazione, perché rifiutando l’idea
che esistano diversi Dei, diverse Verità e diversi modi di adorare il divino, rifiuta anche l’idea che l’uomo possa avere diverse esistenze,
diverse occasioni di crescita interiore. Per il monoteismo, poiché c’è un’unico Dio, che impone all’uomo un’unica scelta definitiva, non può non esserci un’unica vita in cui l’uomo deve sottomettersi all’unica Verità o esserne escluso per sempre o quasi.
Il politeismo invece, ammettendo diverse manifestazioni della Divinità, diversi aspetti della Verità e diversi culti, può accettare facilmente l’idea che anche l’esistenza umana possa essere molteplice. A questo punto si pone un problema che riguarda direttamente noi Pagani moderni: sono ancora accettabili, per il Neopaganesimo occidentale, le antiche dottrine sulla reincarnazione? E se sì, in che forma?
La questione, a questo punto, diventa estremamente complessa, non semplicemente perché la reincarnazione può essere concepita in molti modi diversi, ma perché anche il Neopaganesimo ha assunto diverse forme in Occidente.
Si tenga conto che ciò che sembra balzare subito agli occhi nell’analisi delle dottrine ellenistiche sulla reincarnazione, e che le accomuna alle dottrine induiste, è un convinto disprezzo per il corpo e la corporeità. Per esse, il corpo è solo “vestito” intercambiabile, “tomba dell’anima”; non è parte integrante dell’uomo, non è un valore da considerare, curare, coltivare, apprezzare, godere.
Plotino, il più grande filosofo della tarda antichità, maestro spirituale indiscusso del tardo paganesimo ellenista-orientale,  predicava il
disprezzo del corpo assieme al reincarnazionismo. E addirittura si diceva che “sembrava vergognarsi di trovarsi in un corpo”. In lui l’ascetismo non era meno intenso che in un cristiano convinto.
13 le cose inevitabilmente erano collegate: se si concepisce la reincarnazione semplicemente come conseguenza di un “peccato originale” di qualche spirito caduto giù dal cielo come nella grecità o come “etemo circolo vizioso” da cui bisogna liberarsi con grandi
sforzi ascetici, come sembra considerarlo l’Induismo degli yogi, allora è perfettamente coerente che reincarnazione e disprezzo del corpo e della materia vadano di pari passo.
Ora, il Neopaganesimo mi sembra che si sia affermato soprattutto come rivalutazione della corporeità e del mondo naturale nell’ambito
della religione contro coloro che, cristiani e non, hanno sempre identificato lo spirituale come negazione e svalutazione della materia, dei corpo e della natura.
La dottrina del panteismo, secondo cui “tutto è Divino” o “tutto è pieno di Dei” - come diceva il filosofo greco Talete - è stata riaffermata
dal Paganesimo contemporaneo, e posta come uno dei suoi fondamenti, ma senza ipoteche spiritualiste o ascetiche come nell’Induismo.
Tale dottrina elimina in partenza ogni svalutazione del mondo fisico, che viene visto come insieme delle manifestazioni visibili della Divinità, in ciascuna delle sue parti, e quindi anche in tutto il corpo umano ed in tutti i suoi organi e le sue funzioni.
Se quindi si vuole trovare una conciliazione fra Paganesimo e reincarnazionismo, bisogna riformulare quest’ultimo in modo profondamente diverso dai modelli ellenisti ed induisti, a partire dalle acquisizioni del mondo contemporaneo, e non contro di esse.
Penso che una delle maggiori conquiste del pensiero moderno sia il concetto di evoluzione progressiva. lì modo di pensare l’uomo ed il mondo rispetto al passato è cambiato soprattutto perché da una visione più statica della natura e della storia, considerate un tempo come rette da strutture immutabili, si è passati a concepire tutta la realtà come sottoposta a continue trasformazioni. Persino la posizione delle stelle, considerate dai popoli antichi come immutabili, sono sottoposte ad impercettibili, lentissimi cambiamenti, come ha
dimostrato la scienza moderna, rompendo schemi ritenuti assoluti ed indiscutibili.
Nulla sfugge oggi a questa visione del cambiamento globale, comprese le religioni, che cominciano ad essere considerate come momenti transitori di un’evoluzione spirituale graduale, e non come dottrine assolute ed immodificabili. lì monoteismo è entrato in crisi proprio per l’avanzare di tali concetti, che invece favoriscono una nuova visione politeistica della religione.
Perché dunque non cominciare a pensare che anche l’anima, il principio spirituale, attraversi una serie di fasi evolutive parallelamente al
mondo fisico? Questa idea non è nuova, e la si trova anche presso alcuni mistici orientali.
Perché non pensare che l’anima immortale, se davvero esiste, ben lungi dall’essere mai “caduta” da un mondo paradisiaco. nasca nel
mondo naturale, dapprima semplice e quasi priva di coscienza, e che poi intraprenda il suo cammino partendo dagli organismi
biologici
più semplici, reincarnandosi innumerevoli volte ed evolvendosi attraverso i milioni di anni, passando attraverso forme via via più
complesse e acquisendo anch’ essa in complessità di pensieri, sentimenti e sensazioni?
Perché non pensare che essa passi perciò attraverso i corpi dapprima dei microrganismi, poi di semplici invertebrati e vegetali
primitivi, via via verso le forme animali e vegetali più complesse ed evolute, fino all’acquisizione dell’intelligenza cosciente e
razionale? Perché non pensare che questa evoluzione sia ben lungi dall’essersi conclusa con l’uomo, dato che esso rappresenta solo
uno
dei rami dell’evoluzione, e che anche l’uomo sia una fase transitoria verso forme più evolute, fino a un traguardo ignoto, ma che
possiamo immaginare che coincida con una forma di vita divina, immortale e perfetta?
Se proviamo a seguire questa ipotesi, vediamo che il passaggio attraverso innumerevoli corpi materiali non è una “punizione” o una
‘caduta” come nell’antico Orfismo, ma un necessario passaggio evolutivo, con cui l’anima acquisisce il suo stato adulto e completo,
quello di un vero “Daimon”, uno spirito divino.
E anche questo Punto Omega dell’evoluzione non è necessariamente da immaginare come disincarnato e incorporeo, ma bensì rivestito
di una corporeità infinitamente più perfetta di quella a noi nota, una corporeità, potremmo dire, “metafisica”, dotata di un “corpo
di luce” che non è negazione e liberazione dal corpo di carne, ma suo naturale sbocciare, così come il corpo della farfalla non è negazione
del corpo del bruco, ma suo necessario completamento e prosecuzione.
Una specie di Corpo divino che ha assunto e trasfigurato in sé la materia, ricreandola in un cosmo materiale, ma di una materia diversa,
con diverse e più ampie leggi che trascendono lo spazio ed il tempo che noi conosciamo.
Entrando in questo concetto, si può immaginare che fra gli Dei, magari di ordine minore, alcuni non siano altro che degli Esseri Antichi che hanno già completato il loro sviluppo, che abbiano raggiunto la forma immutabile e perfetta in cui permangono per l’eternità, poiché il loro livello di coscienza è tanto elevato da essere divenuto totalmente consapevole di essere parte integrante
dell’Uno-Tutto molteplice, divino, eterno ed infinito.
E si può pensare anche che, dall’alto della loro condizione divina, essi guidino i mondi e gli esseri, dando loro forma, governandoli e spingendoli a seguire la loro stessa Via, verso l’autocoscienza assoluta, la Via degli Dei. Essi forse sono i necessari intermediari fra gli esseri ancora inevoluti, inconsapevoli, e la coscienza del Tutto di cui siamo tutti parte integrante e necessaria.
Ora, una simile visione del destino e del senso dell’anima e del corpo non può essere dato da dimostrazioni puramente razionali, filosofiche, L’evoluzione è una teoria scientifica come un’altra, non può essere usata per dimostrare una religione piuttosto che un’altra. E infatti la religione non nasce da una dimostrazione razionale, ma da un’illuminazione interiore, da un’intuizione che la coscienza può liberamente accogliere o respingere.
Questa intuizione, questa visione del reincarnazionismo evoluzionista che io ho scelto di abbracciare e di formulare, è però per me preferibile a qualsiasi altra visione dell’anima e dell’aldilà che io conosca nella storia umana. E’ preferibile perché dà del mondo una visione più ragionevole, e quindi più coerente e umanamente accettabile, di quella data da altre dottrine, le quali vorrebbero farci credere che pochi anni su questa terra possano decidere il nostro destino per l’eternità, oche arrivano a giustificare molte ingiustizie su
questa terra, invocando inverificabili “colpe” commesse dagli infelici in precedenti esistenze.
Formulando un concetto evolutivo della reincarnazione, si può immaginare che coloro che hanno un animo più fragile, più esposto a squilibri (quelli che secondo la vecchia concezione sarebbero stati considerati dei “peccatori” e che oggi verrebbero definite persone “deviante” o “problematiche”), o che hanno un’intelligenza e capacità inferiori ad altri, non siano tali per “punizione”, ma semplicemente perché si trovano un po’ indietro rispetto ad altri nel cammino dell’evoluzione, e come tali devono essere compresi ed accettati e, se possibile, aiutati ad elevarsi senza forzarli eccessivamente, oppure, se rifiutano qualsiasi insegnamento, lasciati a seguire liberamente la loro via, che condurrà anch’essi, prima o poi, nel corso delle rinascite, verso la perfezione.
Tale dottrina della reincarnazione evolutiva spinge quindi ad una visione più tollerante e comprensiva della religione e della morale:
ognuno è parte di un processo evolutivo che possiamo comprendere solo in parte e che ci verrà rivelato a poco a poco, secondo le diverse strade dell’evoluzione.
lo non arrivo ad affermare che questa sia l’unica maniera valida per concepire il destino dell’anima e l’aldilà da parte del Paganesimo
moderno. Dico che essa si accorda perfettamente con i fondamenti di tale Paganesimo, e che professarla è perfettamente coerente con una fede autenticamente neopagana.
E affermo che vale la pena provare a contrapporre alle immagini monoteistiche dell’aldilà un’ immagine diversa che abbia altrettanta forza di attrazione, e che appaia più umana e accettabile, soprattutto in questa epoca in cui si parla tanto - soprattutto sui mass media in caccia di facili guadagni - di santi, angeli e madonne, di paradisi, inferni e purgatori, con un linguaggio sospeso fra la New Age della più bassa lega e le immagini della tradizione popolare cattolica, Iodico: ne ho avuto abbastanza, e voi?

(I) Se qualcuno fosse interessato ad approfondire la storia del Neoplatonismo tardo-antico e dei suoi rapporti con le resistenze del Paganesimo contro il Cristianesimo avanzante, consiglio di leggere il IV volume della Storia della Filosofia Antica di Giovanni Reale,
intitolato “Le Scuole dell’Età Imperiale’, ed. Vita e Pensiero. Sono interessanti in particolar modo i capitoli sugli scritti ermetici.
quello sugli Oracoli Caldaici, e quelli sui seguaci e successori di Plotino, soprattutto Giamblico, Proclo e l’imperatore Giuliano,



Bak

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