INTRODUZIONE alla religiosita' Celto-Gallica - |
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Distribuzione dei Celti ritrovati sui siti eponimi di Hallstatt e la Tène. Area più antica intorno al 1000 a.C. (area verde). In arancione la probabile massima espansione intorno al 300 a.C. - Purtroppo abbiamo a disposizione poco materiale originale su questa che fu la civiltà Celta o Celto-Gallica. Innanzi tutto la cultura conservava la tradizione orale ed assai raramente venne usata la scrittura che serviva quasi eclusivamente ad uso sacro o per redigere calendari. Iscrizioni in Latino e Celta del secondo secolo a.C. -Roma Museo Gregoriano- Inoltre spesso i documenti che riguardano i Galli o i Celti, sono documenti di autori romani, e quindi dobbiamo considerare che risultano essere di parte. Sappiamo anche che sotto il nome di Galli o secondo gli autori moderni (Celti) si fa riferimento a una moltitudine di popoli a loro volta di origini diverse. Tuttavia una parte della tradizione Gallo-Celtica sopravvisse in Irlanda, l'unica grande isola a non essere colonizzata dai Romani, che in bene o in male influenzarono con la loro cultura tutto il resto dell'Europa. In Irlanda soltanto in tempi più tardi venne influenzata dalla cultura cristiana che cancellò solo in parte le tradizioni antiche adattando gli Dei Celti traducendo i loro miti con i miti di santi, come avvenne con molte altre tradizioni.
Secondo una tradizione mitologica i Tuatha dé Danann era l'antico nome di questi popoli, che significa popolo della Dea Anu o Dana. Questi giunsero in Irlanda dal cielo: ciò spiega la loro superiorità del sapere; presumibilmente per il fatto che erano assai più civili degli indigeni dell'isola che la abitavano precedentemente. Coppa con decorazione in foglia d'oro Altre leggende ci riportano all'antica età dell'Oro e dell'Argento, ci parlano dell'Isola Bianca o isola di Avallon da cui essi ebbero le loro origini e dea cui ebbero conoscenze soprannaturali. Probailmente non si tratta però di un'isola fisica, ma di un'isola ideale o spirituale a cui i Tuatha dé Danann tornerebbero dopo la morte per godere dell'immortalità (A similitudine dei campi Elisi dei Romani), ma i contatti con l'umanità non verrebbero interrotti. Come spiriti custodi dei Guerrieri, degli eroi e dei Druidi (anche qui una concezione analoga a quella di Esiodo in riferimento agli spiriti tutelari, antenati dell'era dell'Oro e dell'Argento).
Il nome Avallon deriva dal termine cimrico afal (pomo) e da qui il significato “dell'isola dei Pomi”. E questo ci ricorda anche l'isola delle Esperidi e la conquista di Ercole dei pomi d'oro che gli permisero di ottenere l'immortalità. Il significato di Isola Bianca ci rimanda invece a Diodoro Siculo circa l'isola di Leukè, la terra degli Iperborei, situata nell'Oceano al largo delle terre dei Celti indicata anche come l'isola di Apollo. L'Isola Bianca viene chiamata anche Tir Nan Og, terra della giovinezza eterna, oppure Tir Nan Beo, terra dei viventi o Mag Mell, campi felici, campi di gioia.
I Tuatha dé Danann, appena giunti in Irlanda sconfissero i Fomori, giganti dall'aspetto mostruoso: che presumibimente erano gli abitatori indigeni dell'isola dall'aspetto terrificante e primitivo, interpretati come le forze oscure del caos. Dall'Isola Bianca (i Druidi) portarono quattro oggetti simbolici: una pietra, una spada, una lancia, un crogiolo. La pietra è la “Pietra Regale” o “Pietra del Destino” che come oracolo è deputata fra l'altro a decidere che deve essere legittimamente Re; la lancia è la Lancia di Lug, Dio della folgore, di cui è anche detto “mai battaglia fu perduta da chi la impugnò”. La Spada di Nuadu veniva anch'essa ritenuta invincibile ed inesorabile; ed infine il crogiolo di Dagdè, il cui contenuto inesauribile poteva saziare guerrieri e curane le ferite.
La società celtica, come altre società tradizionali, è ripartita in tre caste, che però non sono caste di censo, ma si riferiscono alle predisposizioni umane. Le caste hanno quindi solo funzioni sociali: dei Druidi, dei Guerrieri, degli Artigiani (fabbri, falegnami, contadini ecc.). Al di sopra delle caste vi è il Re, che come già sappiamo non era necessariamente di diritto ereditario, ma doveva essere legittimato. Statua di guerriero
Celta con scudo Il
Re quindi, come in molti
popoli arcaici veniva considerato artefice e non agente del buon
rapporto tra il mondo della natura e gli uomini. Un ruolo molto importante, nella società Celta, ebbero le donne. Infatti vi furono Regine guerriere, che si opposero talvolta tenacemente alla conquista romana, ma esistevano Sacerdotesse che praticavano culi femminili e di scimanesimo iniziatico, a similitudine delle Baccanti dei culti mediterranei. I culti femminili erano ovviamente vietati agli uomini, come i culti druidici erano vietati alle donne. Questo non tanto per questioni classiste, ma per l'evidente differenza di pratiche che per ovvie ragioni fisiologiche e di natura non potevano essere praticate dal sesso opposto. Quindi
anche qui, come in
tutte le società arcaiche si dava importanza alla
costituzione
e natura dell'individuo considerando le differenze naturali. Gli è sacro il Corvo. Si possono ricordare i toponimi di alcune città: Lugo, Lione, Ligano, Loudum, Laon, Leyde, Leipzing; da cui “Lugudunum” (Fortezza di Lug). Un altro epiteto del Dio è Lamfada “dalla lunga mano” ed è il padre dell'eroe Cuchullain: Ai
culti lumnosi solari
dedicati al Sole che rappresenta il principio divino datore di luce e
calore e quindi della vita stessa. Ricordiamo tra i più famosi Dei ancora conosciuti: La Dea dei Guerrieri: Morrigan; Il Dio Dagda a cui i Druidi gli riconoscevano la loro scienza e sapere sacerdotale; Il Dio degli Artigiani che attingevano all'abilità del Dio Goibniu. Così
essi sentivano
il sé il divino e si vedevano dappertutto circondati da
forze
sovrumane e da Entità sottili. Così esistevano Luoghi Sacri, e questo aspetto ci dà il senso che la natura era una manifestazione del divino, come le Selve o dei Boschi che dovevano essere considerati sacri ed inviolabili, chiamati NEMETON come i Nemus degli antichi Romani. Ma anche nei luoghi più comuni, ogni qual volta che veniva praticata la caccia, o si procedeva all'abbattimento di alberi, dovevano essere praticati riti propiziatori per ottenere il perdono degli atti compiuti da parte delle forze della Natura, ed evitare la condanna degli Dei o la loro maledizione. Ricordiamo il Dio della natura, delle selve e degli animali selvatici Cernunno. Un Dio molto simile al Dio Pan anche nell'aspetto della rappresentazione statuaria e nei bassorilievi.
Cernunno seduto tra
Mercurio e Bacco Naturalmente
questa è
solo una breve descrizione, parziale, del mondo spirituale e
religioso dei Celti e dei Galli e delle popolazioni nordiche.
L'argomento potrebbe essere ulteriormente sviluppato, specialmente se
vi fossero ulteriori ritrovamenti di documenti o siti archeologici in
un futuro. Il Cielo dei Celti Nella primavera dell’anno 335 a.C., presso l’attuale passo Sipka, a metà della catena montuosa dei Balcani, le truppe armate di Alessandro Magno il Macedone si scontrarono con la tribù celtica dei Triballi. La battaglia si risolse a favore delle truppe di Alessandro e, quando i Triballi si ritirarono su un’isola del Danubio, i macedoni vi si portarono a remi di notte sorprendendoli nel sonno e piantando le loro insegne sulla riva del fiume come monito per le altre tribù celte. Numerosi capi Celti scesero dal corso superiore del Danubio per conoscere il giovane che li sfidava sul loro territorio. Quando uno dei capi tribù fu alla presenza di Alessandro, quest’ultimo gli chiese cosa i Celti temessero di più, nella speranza, ovviamente, che egli rispondesse: “te !”. La risposta invece fu totalmente diversa; il celta sostenne che la sua gente nulla temeva di più dell’idea “che il cielo potesse cadergli sopra la testa”. L’enigmatica risposta del capo celta dovette destare, tra gli ufficiali di Alessandro, una profonda impressione e, continua tuttora a sconcertare gli studiosi moderni. Quest’apparente battuta rispecchiava una concezione dei Celti sulla loro veduta dell’Universo o, piuttosto, era solo una risposta arrogante ad una domanda tendenziosa ? Purtroppo, poco o nulla si sa di come i Celti concepivano l’Universo. Le prime notizie intorno alle attività legate all’astronomia e portate avanti dai druidi le dobbiamo a Diodoro Siculo, il quale riporta un resoconto di Ecateo di Abdera (III secolo a.C.): …quest’isola situata nel nord, dove abitano gli Iperborei … si adora Apollo sopra tutti gli altri Dei, e i suoi abitanti si considerano sacerdoti di Apollo e adorano questo dio tutti i giorni. In questa isola esiste un magnifico recinto e un tempio di forma sferica adornato con molti ex-voto. Essi [gli abitanti] dicono che la Luna vista da questa isola pare rimanere molto prossima alla terra e che mostra montagne che si possono osservare con semplice vista. Si dice che il dio visita l’isola ogni 19 anni, periodo nel quale si realizza la stessa volta celeste e la medesima situazione in cielo e per questo il periodo di diciannove anni è chiamato dai Greci anno di Metone. Nel momento dell’apparizione del dio tocca l’orizzonte e danza tutta la notte dall’equinozio di primavera alla salita delle Pleiadi.” Apollo rappresenta il Sole. Dal momento che il resoconto di Ecateo risale al III secolo a.C., il testo si riferisce sicuramente ai Celti (gli Iperborei), e l’isola di cui si fa menzione potrebbe essere la Britannia. L’identificazione del tempio circolare risulta invece più problematica. Alcuni suppongono che sia quello di Stonehenge, altri quello di Gavrinis, situato sull’omonima isola in Bretagna. Il fatto che, secondo il racconto, la Luna viaggi così rasente l’orizzonte, suggerirebbe invece una località posta ad una latitudine geografica decisamente maggiore, posta all’incirca a 60 gradi nord. Negli anni ’60, l’archeoastronomo Alexander Thom suggerì la località di Callanish, in cui esiste un famoso cerchio di pietre con consistenti orientamenti lunari. Al di là della corretta identificazione del luogo, sta il fatto che Ecateo testimonia delle osservazioni astronomiche condotte dai Celti a scopo religioso e rituale e l’utilizzo di un tempio di forma circolare che, come si è visto in precedenza, i Celti avrebbero ereditato da popolazioni megalitiche preesistenti. In più, la consapevolezza del ritorno della Luna nella stessa posizione apparente in cielo e con la stessa fase ogni 18,6 anni solari, testimonia che nel 300 a.C. i druidi dei Celti insulari conoscevano il Ciclo di Metone (o Ciclo Metonico Lunare). Questo ciclo lunare di quasi 19 anni, pare molto correlato al periodo di addestramento necessario per diventare druidi, che durava 20 anni, e durante il quale gli allievi dovevano memorizzare tutta la scienza druidica. Questo insegnamento comprendeva la conoscenza del cielo e del moto degli astri, come lo stesso Giulio Cesare afferma: “Vengono anche trattate ed insegnate ai giovani molte questioni sugli astri e sui loro movimenti, sulla grandezza del mondo e della Terra, sulla natura, sull’essenza o sul potere degli Dei…” (De Bello Gallico, VI, 14) Ciò coincide con le citazioni di Pomponio Mela, il quale afferma: …i Druidi pretendono di conoscere le dimensioni e la forma della Terra e del mondo, i movimenti del cielo e degli astri e il volere degli Dei” (De Chorographia, 3, 2, 18) È interessante il fatto che Giulio Cesare incaricasse Sosigene di preparare una riforma del calendario romano nel 45 a.C., cioè solo dopo il suo contatto con i druidi. Plinio il Vecchio testimoniò il fatto che i Celti utilizzavano un calendario tanto complicato quanto efficiente, di qualità e precisione superiore a quello in uso presso i Romani prima della riforma Giuliana. Esistono inoltre documenti storici che confermano scambi di idee tra i filosofi Pitagorici e i Druidi, i quali si incontravano nelle colonie greche della Francia meridionale (Massilia). Anzi, da alcuni passi sembrerebbe addirittura che la filosofia greca e pitagorica sia stata profondamente influenzata dalla filosofia e dalla scienza druidica. Diogene Laerzio riferisce: “Affermano alcuni che la ricerca filosofica abbia avuto inizio dai barbari. E infatti, Aristotele nel libro Magico e Sozione nel libro ventitreesimo della Successione dei filosofi, dicono che gli iniziatori furono i Magi presso i Persiani, i Caldei presso i Babilonesi e gli Assiri, e i Gimnosofisti presso gli Indiani, i così detti Druidi e Semnotei presso i Celti e i Galli”. Timagene (30 d.C.) afferma testualmente: “…si sono sforzati con le loro ricerche di penetrare gli accadimenti e i segreti più sublimi della natura; tra costoro prevalgono, per il loro genio, i Druidi, così come ha stabilito l’autorità di Pitagora” (in Ammiano Marcellino, XV, 9-8) Ippolito Romano (III secolo) nell’opera Refutatio Omnium Haeresium (Philosophumena, I, 2, 17, I, 25, 1) dice: “I Druidi dei Celti hanno studiato assiduamente la filosofia pitagorica…E i Celti ripongono fiducia nei loro Druidi come veggenti e come profeti poiché costoro possono predire certi avvenimenti grazie al calcolo e all’aritmetica dei Pitagorici. Non tralasceremo la loro dottrina, dal momento che certuni hanno creduto di poter ravvisare diverse scuole filosofiche presso costoro” In quest’ultimo passo, Ippolito, non solo mette chiaramente in evidenza che i Druidi conoscevano la filosofia pitagorica, ma che erano inclini all’uso del calcolo aritmetico al fine di poter predire gli eventi naturali. Anche se poco è rimasto di scritto della loro scienza e delle loro conoscenze astronomiche, le prove di queste non mancano del tutto. Tra i reperti più significativi va annoverato lo “Stagno Monumentale” dell’oppidum di Bribacte, l’antica capitale della tribù degli Edui. In questa città esisteva nel I secolo a.C. una grande vasca in pietra, di forma ellittica, colma d’acqua, che serviva ai druidi per scopi rituali. La progettazione della vasca fu eseguita con criteri astronomici per quanto riguarda la sua orientazione e con criteri geometrici basati sulle terne pitagoriche per quanto concerne la forma e le dimensioni. Tali criteri risultano essere presenti in numerosi altri siti sacri dei Celti sparsi in tutta l’Europa: dal Nemeton di Libenice all’Acropoli di di Zavist (del 500 a.C., in Boemia, nei pressi di Praga). In tutti questi casi, comunque, non vi è alcun orientamento verso la linea naturale del sorgere e del tramontare del Sole ai solstizi o agli equinozi. Analisi condotte al computer hanno fatto avanzare l’ipotesi dell’orientamento di tali strutture in direzione della levata di stelle particolarmente brillanti: da Rigel e Saiph (due delle quattro stelle principali che costituiscono la figura antropomorfa della costellazione di Orione), a Mira, nella costellazione della Balena, e Sirio nella costellazione del Cane Maggiore, solo per fare alcuni esempi. In effetti il cielo più importante per quasi tutte le civiltà antiche era quello visibile all’alba; gli astri che si trovavano in levata elìaca, cioè che si scorgevano poco prima del sorgere del Sole, in quel determinato periodo, assumevano una grande importanza rituale. Ora, dal momento che le quattro principali feste celtiche non corrispondevano a determinate posizioni solari, essendo quasi a metà strada tra solstizi ed equinozi, e si basavano piuttosto sul ciclo lunare, per quale particolarità sono state scelte ? Per rispondere a questo quesito, due astronomi dell’Osservatorio di Brera (Milano), Adriano Gaspani e Silvia Cernuti, hanno eseguito alcune simulazioni al computer, mediante programmi particolarmente precisi che tengono conto del mutare della posizione apparente delle stelle nel cielo: si è potuto così risalire a quattro levate elìache di rilevante interesse in corrispondenza delle quattro feste celtiche. Il cielo attorno al 500 a.C., cioè al tempo dello sviluppo della cultura celtica sul territorio europeo, era leggermente diverso da quello a cui siamo abituati oggi, a causa del fenomeno della “precessione degli equinozi”, secondo il quale l’inclinazione dell’asse di rotazione terrestre varia con un periodo di circa 23500 anni. Attualmente l’inclinazione dell’asse terrestre è di 23,5°. Per tale fenomeno la stella più prossima al polo nord celeste nel 500 a.C. non era l’attuale stella Polare, ma era Kochab, sempre nella costellazione dell’Orsa Minore, la quale distava dal polo circa 6° d’arco. Ciò rendeva possibile vedere dalla Gallia alcune costellazioni oggi visibili solo dall’emisfero australe. In corrispondenza con il primo di novembre, alla festa di Samain (Trinuxtion Samoni, letteralmente “le tre notti di samonios”), era in levata eliaca Antares, una stella rossa di prima magnitudine, la più luminosa della costellazione dello Scorpione. Ad Imbolc, attorno al 1° febbraio, era in levata eliaca Capella, stella gialla della costellazione dell’Auriga, anch’essa di prima magnitudine. A Beltaine, il 1° maggio, sorgeva poco prima del Sole la stella rossa Aldebaran, la più luminosa della costellazione del Toro. Il colore della stella si intonava al colore del fuoco associato al dio Belenus. Sirio, nella costellazione del Cane maggiore e stella più luminosa dell’emisfero boreale sorgeva eliacamente attorno al primo agosto, in corrispondenza della festa di Lugnasad. La stella più luminosa era quindi associata a Lug, il dio celtico più importante. Comunque, anche se durante le quattro festività celtiche non vi sono fenomeni solari particolari, da un punto di vista del simbolismo, i Celti devono aver ereditato alcune tracce del culto solare del popolo dei megaliti. Basti pensare al Triskell (dal greco “triskelès”, a tre gambe), ornamento simbolico di origine non celtica ma divenuto in qualche modo l’emblema di questa civiltà, se si considera la sua frequenza nelle arti plastiche galliche e soprattutto irlandesi. Questo motivo decorativo era derivato, per estrema schematizzazione, da un tipo di moneta che recava una figura fatta con tre gambe piegate a raggio attorno ad un centro, che simboleggiava il movimento perpetuo del Sole. Anche la tipica croce dei Celti cristianizzati è una derivazione dell’antico simbolo solare. Celebre è la croce celtica del cimitero di Muiredach (X secolo d.C.) a Monasterboice (Irlanda). In questa ottica vi era la dea Belisama, dea femminile che ricopriva il ruolo solare, la dea Sirona, nome che ricorre in alcune iscrizioni galliche e che si riferisce agli astri che brillano nel cielo. Inoltre è citata l’Arianrod della tradizione gallese, eroina del quarto ciclo del racconto epico del Mabinogi. Il suo nome significa “ruota d’argento” e, presso i Galli, il termine “Kaer Arianrod” (città di Arianrod) designava molto probabilmente la costellazione della Corona Boreale, che per la sua forma ricorda il cerchio di una ruota. Infine, come si è visto in precedenza, alcuni fanno notare come anche la costellazione dell’Orsa Maggiore fosse tenuta in grande considerazione dai Galli, i quali la chiamavano “il cinghiale”. Al tempo della conquista della Gallia da parte di Giulio Cesare, il proconsole romano riconobbe inoltre ai druidi la capacità di prevedere le maree e di come queste fossero state esattamente correlate al moto apparente della Luna nel cielo e al succedersi delle sue fasi. Queste capacità potevano rivelarsi molto utili per i Celti in ambito sociale e militare, ad esempio per la navigazione e per la pesca. Lo stesso calendario rinvenuto a Coligny, essendo basato sul moto lunare, permetteva nella maniera più semplice e naturale la previsione delle maree, la cui reale connessione fisica sarà spiegata solo 2200 anni più tardi dalle leggi gravitazionali di Isaac Newton. tratto da [www.ars2000.it]
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