Hekate
ALTRE
DIVINITA' PREOLIMPICHE
Nei
Miti Greci vi sono da considerare tre Divinità "telluriche"
o
per meglio dire "prerolimpche": la Dea marina Tethys, la Dea della
Notte Nyx e la madre Terra Gaia. Quindi una triade di Dee. Vi sono
altri Dee che hanno questo aspetto, talvolta questi aspetti
rappresentano una stessa Dea. Travolta sorelle o tradi elettive. Cosi
abbiamo anche tre Dee che entraono in gioco nel conflitto della guerra
di Troia. Nel giudizio di Paride appaionio anche tre Dee: Era, Athene e
Aphrodite. A similitudine di questo vi sono citati i tre aspetti lunari:
La Luna crescente, la Luna piena e calante, un aspetto divino
che
e' presente nel Cielo. Questi tre aspetti cono anche riconducibili a
due: nell'aspetto crescente ed in quello calante.
Il
piú grande periodo festivo, nella Grecia antica e'
invece, l'Olimpiade, consisteva
di
cinquanta lune, o - in un caso sí in un caso no - di ,
quarantanove :
un
alternarsi che
spesso si rispecchia anche nei racconti. Tutto ció non vuol
dire
che la
grande Dea trimorfa apparirà sotto diversi nomi,
non
sia altro che la Luna.
Le Dee del fato
(Moirai)
È
stato ricordato come davanti alla Dea Notte perfino Zeus
provasse un sacro timore.
Secondo i
racconti dei fedeli di Orfeo, Nyx stessa era
una Dea triplice.
I figli della Notte erano le Dee del fato, le Moirai.
Il Mito si ritrova nel nostro Esiodo, anche se le Dee vengono
anche considerate come figlie di Zeus e della Dea
Themis. Ma come sappiamo i Miti tendono a spiegare anche simbolicamente
dei Significati Trascendenti di diversa natura.
In tempi
piú tardi, i fedeli di Orfeo ritenevano che esse abitassero
in una grotta nel cielo, presso
un lago,
la cui acqua bianca attraverso la grotta sgorgava: immagine evidente
della luce
lunare.
Il loro nome, la
parola moira che significa " parte", nonché il loro
numero
corrispondevano ai tre "aspetti "
della Luna. È
per questo che canti orfici citano le "Moirai vestite di bianco".
Le Moirai, sono
conosciute
anche come come filatrici, Klothes.
La prima di
loro si chiama infatti Klotho.
La seconda si chiama Lachesis,
la "distributrice",
la terza Atropos,
"colei che non puó esser stornata".
Omero parla di
una sola Moira,
di una sola Dea
filatrice "forte", "difficile a
sopportarsi", "distruggitrice".
Quindi troviamo anche in questa citazione una sola Dea con tre aspetti.
Le Moirai
filano, e
questa filatura rappresenta il "tempo" della nostra vita, fintanto che
il filo dura dura anche la nostra esistenza. La lunghezza avrà
il filo,
dipende esclusivamente da loro e
nemmeno Zeus puó
cambiare la
loro
decisione.
Zeus egli puó prendere la sua
bilancia d'oro, preferibilmente nelle ore
meridiane, per misurare con essa quale uomo e' destinato a morire nelle
le lotte degli umani.
La potenza delle
Moirai risale probabilmente a un'epoca piú antica del periodo della Grecia
classica.
E esse non sempre costituiscono una triade.
Ad esempio, in occasione
delle nozze della
Dea Thetis
con il mortale Peleus, esse
appaiono -
in quattro.
A Delfi, invece, erano venerate due di loro: una Moira
della nascita
e una
della morte.
E questo ci fa capire che la personificazione degli Dei era simbolica,
in un certo senso rappresenta aspetti astratti che gli artisti
raffuguravano nelle loro opere sacrali. Nella guerra tra Dei le
Moirai
partecipano alla lotta contro i Giganti - con pestelli di bronzo.
Apollon -
cosí
raccontava
un antico poeta
scenico -
ubriacó le vecchie Dee, per salvare il suo amico Admetos dal
giorno della
morte.
Nel Mito di
Melagros
esse apparvero alla nascita dell'eroe Meleagros, nella casa
del re
Oineus.
Klotho predisse
che il fanciullo diventerebbe di animo nobile, Lachesis
preannunció il suo
eroismo,
Atropos, invece, profetizzó che la vita di Meleagros non
poteca
durare di piú del
tizzone che
in quel momento si trovava già nel fuoco.
La madre, Althaia, tolse il tizzone da fuoco e lo conservo'conservó.
Atropos e' rappresentata come la piu' piccola delle sorelle,
ma
piu' vecchia e potente.
Tra i figli
della Notte vo
sono:
la Morte che ha
tre nomi :
come Moros,
Ker e Thanatos;
accanto alla Morte si trova suo fratello, Hypnos, il Sonno, e
l'intero popolo dei Sogni; Momos, il
Biasimo, e Oizys, il Lamento; le Esperidi che custodiscono
i loro
aurei pomi
al di là dell'Okeanos, e la Dea Nemesis : l'Inganno
e l'Amoreggiarnento (Apate e Philotes); la Vecchíaia, Geras
e la Discordia, Eris.
Le Dee Eurybia, Styx e
Hekate
Le Dee del fato
sono anche riassunte in
un'unica Figura con l'appellativo di: Moira Krataia,
la "forte
Moira".
Di seguito
vi sono altre
figure di Dee che secondo Erodoto hanno legami di parentela.
Eurybia la
Dea "largamente
potente ". Bia
significa "potenza" ed e' sinonimo di kratos, la
"forza".
Eurybia e'
una figlia di
Gaia. Suo
padre
(il Mare), Pontos.
Suoi fratelli: Nereus
e Phorkys,
i due Dei detti anche "vecchi
del
mare", Thaumas,
il Dio
che portava il nome "meraviglia del mare" e Keto, la Dea del bel
viso, nominata anche come "mostro marino".
Eurybia e' nominata anche come la Dea dal cuore d'acciao.
Essa
partorí figli: Krios
"l'ariete celeste". E' uno dei due Titani rimasti celibi.
Poi:
Astraios,
lo "Stellato"; Pallas,
marito
della Styx;
e Perses,
padre di Hekate.
Styx
ha un senso
odioso, perche' connesso con il termine stygein =
"odiare".
È il
nome del fiume che circonda gli inferi con nove giri.
Anche la gelida cascata
sull'alto monte Araonios, in Arcadia, ha preso lo stesso nome del fiume
degli inferi.
Con la Dea che aveva
questo stesso, nome, (in un Mito secondario), si cita che Zeus avesse
generato Persephone.
Esiodo, ritiene che Styx sia
la
piu' potente tra le figlie
piu' anziane di Okeanos e di Tethys.
Il racconto dice
: oltre a Zelos e
a Nike
("Zelo" e "Vittoria"),
Styx partorí a Pallas anche Kratos e
Bia ("Forza" e "Potenza").
Questi due Dei non abbandonavano mai
Zeus.
Questo
per volonta
della stessa Styx quando Zeus chiese l'aiuto di tutti gli Dei per
fronteggiare i Titani.
Egli aveva promesso che i suoi alleati avrebbero ottenuto il giusto
premio e venerazione, chi gia' venerato avrebbe mantenuto la sua
dignita'.
Styx si alleo' per prima con
gli Dei
dell'Olimpo, con i suoi figli. La Dea e' saggia come suo padre Okeanos.
Zeus la
onoro', e le conferi il dono piu' onorevole che e' il giuramento degli
Dei.
Nemmeno gli
Immortali possono giurare il falso sul nome di Styx.
Essa rimase
pero' legata agli inferi e non divento' una Dea Olimpica.
I figli
della Styx invece divennero gli accompagnatori di Zeus.
Si
ricorderà, come Kratos e Bia furono anche gli armigeri di
Zeus
nella vicenda che riguarda la pinizione di Prometeo.
La Dea alata Nike mantenne invece
rapporti
stretti con la figlia di Zeus, Pallas Athene.
Hekate, la terza
figura di questo gruppo, e' sempre particolarmente vicina, anche se il
suo nome significa
"colei che
e' lontana".
Hecate ha affinita' con Apollon e con Artemis, infatti entrambi sono
anche appellati con i nomi di Hecatos e Hecate.
La Dea, generalmente e' anche
considerata come una delle figlie della Notte.
Esiodo ci
traccia anche un'altra genealogia: la coppia titanica Phoibe e Koios, aveva due
figlie : Leto,
madre di
Apollon e di Artemis, ed Asteria,
secondo una
Dea
astrale, che con Persaios
o Perses, figlio di
Eurybia,
partorí
Hekate.
Quindi e' nipote
della stessa
coppia celeste di cui e' nipote Artemis.
Similmente
alla Dea Phoibe
un appellativo della
Dea Luna.
Hekate, e'
rappresentata anche
con la fiaccola lucente come Dea Luna stessa. Artemis, talvolta porta
anche lei la fiaccola, ma non e' mai concepita come la personificazione
diretta della Luna, ma mantiene caratteristiche diversificate.
Esiodo la
distingue, da
Artemis, rilevando
che Hekate e' "figlia unica",
monogenes.
Essa assomigliava pure in questo riguardo a Persephone,
mentre del resto era una Dea onnipotente, e precisa mente una Dea
trimorfa.
Zeus la onoro' sopra tutte le altre, permettendole
di aver parte nella
terra,
nel
mare deserto e nel cielo stellato.
Non la spoglio'
di questa
triplice dignita' che gia' aveva in tempi piu' antichi quando dominavano i Titani.
Essa e' dunque una Titanessa tra i Titani, anche se queste
sue
caratteristiche non vengono sempre citate nei Miti.
Si dice, anche che sia stata lei la Krataiis,
quella
"Forte", che
con Phorkys
partorí il mostro marino femminile Skylla.
Vi sono racconti dei
suoi amori con Dei
del mare
e con Triton
definito da
Esiodo "largamente
potente", eurybias.
Si
racconta anche che Hekate, quale sovrana degli inferi, (con Ade e
Persephone) vagasse, talvolta
di notte, con le
anime dei morti, accompagnata dal latrato dei cani. Ed il suo
animale e' il cane o la lupa.
Essa e'
"vicina" poiche' e' detta anche Prothyraia,. e puo' portare aiuto alle
puerpere o
anche difficolta'. Infatti e' una Dea dai diversi aspetti: benevoli o
anche malefici di soliti rappresentati con tre maschere come gli
aspetti lunari.
Skylla
Skylla, Lamia, Empusa e altre
figure terrificanti
Hekate
aveva
parte nel cielo, nella terra e nel mare, ma non é mai
diventata una Dea olimpica.
Essa
apparteneva
cosí strettamente alla vita delle nostre donne e con
ció anche alla vita
di
noi uomini,
che perció appariva inferiore alle spose e alle figlie di
Zeus.
D'altra
parte, la
sua sfera di sovranità- e particolarmente il mare, dove si
svolgevano i suoi amori
primordiali - era cosí immensa che l'Olimpo non avrebbe
potuto abbracciarla.
Quando
essa non
vagava per le strade, dimorava nella sua grotta.
Cosí
faceva anche sua figlia Skylla, spaventoso mostro marino.
Tale,
almeno,
essa appare nei racconti dei nostri navigatori che peró
probabilmente volevano, con
le
loro parole, impressionare gli abitanti della terraferma. Essi,
infatti, conoscevano bene
la natura dei siti marini piú pericolosi e certo non
mettevano in rapporto la
grande dea, che poteva apparire in diverse forme, con un unico luogo
determinato. Essi
raccontavano - e il loro racconto ci é rimasto
conservato nell'Odissea in una forma
talmente
esagerata che la figura già originariamente triplice della
dea vi risulta ancora raddoppiata
-
quanto segue : nel mezzo della grotta di Skylla vi sono due scogli, uno
dei quali, di pietra
liscia, si erge fino al cielo con la sua cima invisibile. La grotta si
apre
verso occidente, cioé verso l'Erebos; l'oscurità
é impenetrabile.
In
questa grotta
dimora Skylla che latra spaventosamente come una giovane cagna.
I
suoi dodici
piedi tanti ne doveva avere una Hekate raddoppiata - non sono
completamente sviluppati. Le
sue sei orribili teste riposano ciascuna su un collo lungo.
Nelle
sue bocche
i denti letali si schierano su tre file.
Essa,
porgendo le
teste dalle profondità della grotta e perlustrando le rocce,
dà la caccia ai
delfini, alle
foche e ad altri mostri marini piú grandi. Dalla nave di
Ulisse essa, inavvertitamente, ha tirato giú sei uomini,
ingoiandoli, poiché l'eroe,
istruito
dalla maga Circe, stava piú attento ad evitare l'altro
scoglio.
Anche
di
quest'ultimo bisogna dire alcune parole. Sotto l'altro
scoglio dimorava Charybdis. Costei appartiene ormai completamente al
mondo favoloso dei
navigatori e quasi per niente alla mitologia, sebbene Omero la chiami
« la
divina Charybdis », conferendole cioé lo stesso
epiteto (dia) con cui orna per esempio
la
bella ninfa di
una grotta, Kalypso. Tre volte al giorno Charybdis inghiotte l'acqua
del mare,
per risputarla tre volte al giorno. Sopra, sulla cima dello scoglio che
era ben meno alto
di quello di Skylla là dirimpetto, cresceva un fico
selvaggio. Charybdis stessa
restava invisibile. Piú tardi si raccontava che essa fosse
figlia di Gaia e di
Poseidon, un
mostro divoratore, che avrebbe rubato i buoi di Herakles e
perció i fulmini di
Zeus
I'avrebbero fatta precipitare negli abissi del mare. Qualcosa di
simile viene raccontato anche di Skylla.
Anche
lei, la
cagna selvaggia, avrebbe rubato i tori di Herakles e sarebbe stata
perció uccisa
dall'eroe.
Suo padre, Phorkys, l'avrebbe poi restituìta alla vita,
bruciando con fiaccole e poi
facendo ribollire il cadavere della figlia. Perció
Skylla non avrebbe piú paura nemmeno. dalla regina degli
inferi, Persephone. In essa
dobbiamo
riconoscere una grande dea dello stesso genere di sua madre, Hekate che
vagava in forma
di cagna o accompagnata dal latrato dei cani. Probabilmente
Skylla é ritratta in un modo del tutto corrispondente alla
sua natura in quelle
raffigurazioni che la presentano nella forma di una bella donna che
nella regione delle anche
passa
in teste di cani e sotto le anche in una coda di pesce.
Se
oltrecció essa appare anche alata, ció
corrisponde pure alla sua natura, con la quale essa, a
differenza di Charybdis, non regna soltanto sulle
profondità, ma anche sulle lontananze che si
estendono sia verso il basso che verso l'alto. Ma questo era
forse il suo aspetto per i nostri vicini occidentali, gli Etruschi,
piú che per noi.
Sarà per questo che Skylla vien detta anche
"Tyrsenis" o, la "Etrusca" . La madre di
questa dea - di un'altra, umana Skylla, figlia di Nisos per ora non si
parla - non si chiamava
soltanto Hekate, ma anche Lamia.
A
questo punto le
storie che la riguardano, passano in un genere di racconti che non
é piú neanche
quello
delle invenzioni dei navigatori ed é spostato ancora
piií di queste verso gli
estremi
margini della mitologia. Si tratta di favole raccontate ai bambini allo
scopo di spaventarli e
farli star buoni, ma anche di divertirli. Lamia o Lamo é,
secondo il suo nome, la
« inghiottitrice »: laimos significa la gola.
Con
il nome
abbreviato Lamo la si chiamava probabilmente ad uso dei bambini, nel
linguaggio delle balie, similmente ad altre figure terrificanti:
Akko,
Alphito,
Gello, Karko e Mormo per Mormolyke. Cosí
sì narrava: Lamia era una regina che regnava in Libia.
Là
si
mostrava perfino la sua grotta. Zeus l'amava -
poiché essa era bella - e generó con lei figli.
Questi
caddero
vittime della gelosia di Hera. O la madre
stessa, presa dalla follia, li uccise, o Hera in persona. Da allora,
Lamia
é diventata brutta nella sua aflizione e, per invidia, ruba
i bambini alle altre madri.
Essa
é
capace di levarsi gli occhi, affinché questi vedano anche
mentre lei dorme. Ed
é
capace di trasformarsi in qualsiasi figura. Quando peró la
si riesce a catturare, i
bambini rapiti
si possono riprendere vivi dalla pancia di Lamia.
Cosi
si
raccontava ai bambini una storia titanica simile a quella di
Kronos. Anche Lamia
aveva
una torre, come Kronos. Non si puó sapere, se era veramente
una Dea, oppure un Dio o
l'uno e l'altra nello stesso tempo. II poeta comico che ha
conservato, ma anche
falsato
e preso in giro tanti racconti antichi, Aristofane, parla di membri del
corpo tutt'altro
che femminili di Lamia: come del resto anche la Gorgo porta spesso sul
corpo un phallos
appeso. D'altra parte era nota anche la sua lascivia da meretrice, e
non mancavano
etére che si chiamassero, appunto, Lamia. Alla figura
trimorfa di Hekate e a quella
ibrida di
Skylla fa pensare la sua capacità di trasformarsi: questa
capacità, Lamia
l'aveva in
comune con le divinità del mare e con un'altra figura
terrificante di cui occorre
dire
ancora qualche parola. Empusa
vien
ricordata come un altro nome per Hekate, ma figura anche
indipendentemente. Di Lamie
e di
Empuse si parlava anche in plurale e in questo caso non c'era
differenza tra di loro.
Quando
ci si imbatteva in Empusa - per esempio all'ingresso degli inferi, come
avviene in una
commedia di Aristofane, - questa si mostrava ora come vacca, ora come
mula, ora come una
bella donna e ora come una cagna. Tutto il suo volto era luminoso come
il fuoco. Uno dei
suoi piedi era di bronzo - ció che é
evidentemente un'esagerazione dei poeti comici. Di simile si
conosce solo il sandalo di bronzo che Hekate piú tardi
portava, quale Tartarouchos,
« padrona del Tartaro » L'altro piede di Empusa era
cosí sporco di sterco di mulo, che non
sembrava piú un piede di mulo, ma addirittura un piede fatto
di sterco di mulo. Ció
peró ci porta dal campo della mitologia in quello della mera
burla.
Le piú anziane figlie
di Tethys e di Okeanos
Siano
elencati
ora i nomi delle figlie piú anziane di Tethys e di Okeanos,
come li ha raggruppati
Esiodo.
Oltre
alla
piú potente, Styx, che ho già menzionata, esse
erano quaranta.
Esiodo
ha
inserito in questo gruppo anche nomi che appartengono a grandi dee
conosciute,
come
Perseis,
« figlia di Perses », a Hekate o Urania ad
Aphrodite. Altri nomi invece spettano
a
qualche sposa
di Zeus, come Dione ed Eurynome, delle quali solo quest'ultima
é rimasta una
Dea
del mare,
paragonabile a Tethys o a Thetis. Con
ció Esiodo giustifica in certo qual modo quel racconto sulle
origini del mondo, secondo
il quale
non solo le divinità marine o fluviali discendevano da
Okeanos e Tethys. Delle
altre
Okeanine solo nove hanno a che fare con I'acqua, con il vento e le
onde, con la mobilità
e la rapidità di queste, con gli scogli o con le navi. Nei
nomi
di
Kalliroe e di Amphiro si cela il fluire, Plexaura e Galaxaura alludono
al vento sferzante e alla
bonaccia, Thoe ed Okyroe alla rapidità e alla
mobilità, Petraia fa pensare agli scogli,
Kalypso ai nascondigli delle grotte, Prymno alla poppa della
nave. Degli altri nomi
i seguenti si riferiscono ai doni e alla ricchezza (doron e plutos) che
possono essere
anche quelli del mare : Doris, Eudora, Polydora, Pluto. La portatrice
del primo nome era
considerata come madre della generazione piú giovane delle
dee marine, figlie di quel
Nereus di cui si discorrerà in una volta con gli altri
"vecchi del mare". Ma
ancora non
é stata ricordata la maggior parte, e la parte
piú enigmatica, dei nomi delle figlie di
Tethys. Questi sono:
Peitho, Admete, Ianthe, Elektra, Hippo, Klymene, Rhodeia, Zeuxo,
Klytia;
Idyia,
Pasithoe,
Melobosis, Kerkeis, Ianeira, Akaste, Xanthe, Menestho, Telesto - colei
dalla veste color
zafferano - e Chryseis, Asia e Tyche.
Molte
cose si
potrebbero supporre delle dee che si celano dietro questi nomi, ma
basti rilevare i
momenti piú evidenti. Peitho, la dea "Persuasione" non era,
probabilmente, che un nome
della dea
dell'amore, e per questo si é associata ad Aphrodite.
Admete,
invece,
era, come Artemis, "Indomita". Hippo e Zeuxo
avevano a che vedere con cavalli e carri.
Idyia
era una che
"sapeva", Xanthe era una dea bionda, Telesto una dea delle iniziazioni
nei misteri e
Tyche, la dea "come capita, la "fortuna", una divinità priva
di una storia propria, ma
dotata di un potere che - non differentemente da quello delle Moire e
della trimorfa Hekate -
risultava piú forte del regno di Zeus.
I "Vecchi del Mare" o
Phorkys, Proteus, Nereus
Nel caso di
racconti come quelli su Eurybia, Styx, Hekate o su Skylla, Lamia,
Empusa, non
si
puó
mai sapere, se tutti questi nomi non si riferiscano ad un'unica Dea, a
una
"Dea
forte", la
cui sfera di potenza abbraccia il cielo, la terra e il mare, e perfino
gli inferi.
Ugualmente
si
é in dubbio, se Tethvs, Thetis, Eurynome non siano forme
d'apparizione di,
quest'unica
dea,
e precisamente le sue forme d'apparizione connesse con il mare,
nominate
in
tre modi,
secondo i tempi e i luoghi. Simile
é la situazione nel caso di tre divinità
maschili, Phorkys, Proteus e Nereus, definiti da Omero
con l'espressione halios geron, il "vecchio del mare".
I
lettori dei
libri sacri di Orfeo conoscevano un racconto, secondo cui Phorkys,
Kronos e Rhea sarebbero
stati i primi figli di Okeanos e di Tethys, i quali, a loro volta,
discendevano
dalla Terra e dal Cielo, oppure, come già si sa, dalla
metà inferiore e da quella
superiore
dell'Uovo Primordiale. Secondo un altro racconto contenuto in quei
libri, vi erano sette
Titanesse e sette Titani, figli di Gaia e di Uranos. Oltre a quelli che
sono
già stati rammentati, questo racconto nominava anche la
bella Dione tra le Titanesse e
Phorkys tra i
Titani. A questo ultimo veniva conferito l'epiteto krataios, il
"forte".
Secondo
Esiodo
invece Phorkys era figlio di Gaia e di Pontos. Sua sorella,
per non ricordare di
nuovo i suoi altri fratelli, si chiamava Eurybia. Sua sposa era Keto,
dal bel viso, il cui
nome non é che la forma femminile della parola ketos,
"mostro marino".
Questa
parola
puó applicarsi anche al " Vecchio del Mare" stesso, quando
per esempio costúi
lotta con Herakles e si trasforma nelle figure piú varie.
Tale arte di trasformista viene
attribuita
certo piú a Proteus ed a Nereus che non a Phorkys, e la
lotta con Herakles
unicamente a quest'ultimo. Ma si tratta, in fondo, sempre dello stesso
"Vecchio del
Mare". Phorkys - detto anche Phorkos - era in certo qual modo il
piú vecchio tra
tutti, il
corego di tutte le divinità marine. E doveva ben essere un
Dio astuto e pratico nelle
arti magiche, se é riuscito a risuscitare sua figlia Skylla,
come é stato raccontato
piú sopra!
Proteus
é il nome piú chiaro del "Vecchio del Mare" :
é una forma di nome arcaica per la
stessa
cosa che
veniva chiamata anche "Protogonos", "l'essere nato per primo".
Non
vien fatta
menzione di suoi genitori, solo delle acque in cui si puó
incontrarlo. Egli
frequentava
un'isola sabbiosa di fronte all'Egitto, nota sotto il nome di Pharos,
mentre Phorkys si
tratteneva piuttosto in occidente, in un golfo di Itaca o, ancora
piú verso ovest,
nella regione dove dimorava anche sua figlia, Skylla.
Si
sente il
seguente racconto, nella maniera delle favole dei navigatori, della cui
riproduzione
tanto si compiace Omero nell'Odissea: Proteus aveva una figlia, di nome
Eidothea. E
questa lo tradí.
In
queste parti
gira un vecchio marino che dice la verità "- disse questa
dea all'eroe Menelao -" il vecchio marino dell'Egitto, l'immortale
Proteus.
Egli
conosce le
profondità di tutto il
mare e non
é sottomésso che al solo Poseidon. Dicono che sia
mio padre.
Se
tu potessi
stare qui all'agguato e catturarlo, egli ti direbbe la strada e il
numero dei giorni di
viaggio fino al tuo ritorno in patria, attraverso il mare di pesci. E
se tu vuoi,
egli ti dirà anche tutto ció che, di bene o di
male, é avvenuto in casa tua durante la
tua assenza e il lungo, faticoso viaggio".
Rispose
Menelao :
"Dimmi, dunque, come devo spiare il dívino vecchio, in modo
che egli non mi scorga o,
sapendo in anticipo, non mi sfugga in qualche altro modo.
Poiché
per un mortale é pur sempre difficile dominare un
Dio".
Rispose la dea :
"Ora te lo diró, straniero, con tutta precisione.
Quando
il sole
sta sul meriggio, esce dal mare il vecchio marino, il vegliardo che
dice
la
verità. Viene con il vento dell'ovest, con l'incresparsi
delle scure onde.
Quando
é già fuori dell'acqua, si mette sotto gli scogli
incavati. E intorno a lui
dormono le foche, nidiata della bella dea del mare, per greggi, come
emergono
dall'acqua bianco-grigia.
Esse
sanno ancora
dell'odore amarognolo delle acque profonde. Ti condurro
là di buon mattino e vi nasconderó nello sfondo.
Tu devi
scegliere
soltanto tre dei tuoi compagni, quelli piú adatti allo
scopo.
Ora
t'informo
delle pericolose arti del vecchio. Come prima cosa, egli conta le
foche, cinque per
cinque. Dopo si sdraia in mezzo a loro, come un pastore in mezzo alle
sue greggi. Non appena
vedrete che egli si é addormentato, ricorrete alla violenza
e alla forza. Tenetelo
fermo,
per quanto cerchi di sfuggirvi. Poiché lo
tenterà. Assumerà
le forme di quanti animali esistano sulla terra. Si
trasformerà perfino in acqua e in fuoco.
Ma
voi tenetelo
saldamente, stringete ancor di piú i suoi vincoli. Solo
quando
egli
comincerà a pregarvi, nella stessa figura in cui davanti ai
vostri occhi si sarà
addormentato, solo allora cessate la violenza, sciogliete il vecchio e
interrogatelo...".
E
cosí
avvenne. Proteus prese le forme di un leone, di un serpente, di un
leopardo, di un porco, poi
anche si trasformó in acqua e in un albero, ma alla fine
disse la verità su
tutto
ció che gli fu chiesto.
Simile
virtuosità nelle metamorfosi viene raccontata anche da
Nereus: raccontate dai nostri antichi
artisti,
scultori, vasai ed orefici. Essi crearono le figure di uomini con corpo
di pesce in tempi
molto piú antichi di quelli in cui appaiono le figure
femminili formate in modo
analogo,
fatto che fa pensare che il potere delle grandi dee del mare non si
limitasse unicamente
all'elemento umido, mentre il "Vecchio del Mare" fosse piú
strettamente unito alle
profondità. Vi sono immagini in cui dal suo corpo di pesce
si vedono spuntare anche le
teste
di un
leone, un caprone e un serpente. In questi animali si
trasformó Nereus, lottando
con
Herakles che, dietro consiglio delle dee del fato, lo voleva legare ed
interrogare.
Ció
avvenne molto prima dell'avventura di Menelao con Proteus, prima anche
del combattimento di
Herakles con Tritone che nella nostra mitologia appartiene ad una
generazione
piú giovane di divinità marine. Lo si
rivedrà come figlio di Poseidon e di Amphitrite.
Ma
il
"Vecchio , del Mare o assisté anche a quel combattimento,
nel suo aspetto trimorfo, come
lo si vede
in uno Dei piú antichi frontoni di tempio sull'Acropoli di
Atene, anche se molti,
erroneamente, lo chiamano, lí, "Typhon".
Egli
- sotto un
nome o un altro - regnava sui nostri mari prima di Poseidon, e si
distingueva, per
la sua saggezza e veracità, dal sovrano ancora
piú antico del mare, Briareos,
che
aveva cento braccia. Come ci diceva Esiodo: "Nereus che mai mentisce",
ma dice sempre la
verità, fu generato, come primo figlio, da Pontos.
È
perció che lo si chiama : il Vecchio; perché
é verace e benigno. "Mai
egli devia
dal giusto, ma tende sempre verso la giustizia e la
bontà".
Egli
era padre di
cinquanta figlie, partorite a lui dall'Ukeanina Doris: sono dee del
mare, di cui
piú tardi rammenteró i nomi.
Le "Dee Vecchie" o (Graiai)
Al vecchio
del
mare, Phorkys, la nostra mitologia attribuisce tra l'altro anche figlie
canute. Esiodo
racconta:
"
A Phorkys
partorí Keto le Graiai, dai bellissimi volti, che vennero al
mondo con i capelli bianchi;
perció si chiamano, presso gli dèi e gli uomini,
Graiai". Graia
significa,
infatti, nella nostra lingua, una vecchia donna.
Affinché
queste vecchie nan vengano confuse con altre dee vecchie, sono
chiamate, con
piú precisione, le Graiai di Phorkys o di Phorkos, le
Phorkidi o, in autori piú recenti:
le
Phorkyadi.
Questo nome, mentre è comune a loro e alle loro sorelle, le
Gorgoni, d'altra parte le
distingue dalle Moire che sono ugualmente Dee vecchie. Se tuttavia non
ci sia, tra Graie
e Moire, qualche affinità del tutto
particolare, è una questione
che
noi, figli di una tarda età, non possiamo risolvere.
Esiodo
nomina
solo due Graie : Pemphredo, dalla bella veste, ed Enyo, dalla veste
color zafferano.
Egli
rileva anche
il loro bell'aspetto, malgrado i capelli canuti. Enyo è
un nome guerriero che sarebbe adatto a una dea delle battaglie.
Pemphredon
è il nome, da noi, di una specie di vespe. Dee profetiche -
tali da poter venir ritenute
identiche alle Moire appaiono nell'inno omerico a Hermes, come se
fossero
api.
Per
la terza
Graia - poiché secondo altri racconti esse erano in tre - ci
vengono tramandati due
nomi : Deino, la "Terribile", oppure Perso, il quale ultimo
non è che un'altra
forma per Persis o Perseis, nome che designava Hekate con riguardo a
suo padre. Si diceva inoltre
che le Graie fossero vecchie fanciulle simili ai cigni. E si raccontava
che avevano un solo occhio in comune e un unico dente in comune.
Dove
esse
dimoravano, non si vedeva il sole, né la Luna: era una
grotta presso l'ingresso al
paese delle
Gorgoni, al di là dell'Okeanos e si chiamava Kisthene,
"paese del cisto".
Dal
racconto in
cui si parla dell'unico occhio e dell'unico dente, si viene a sapere
ancora che le
Graie erano custodi severe della via che conduceva alle
Gorgoni.
Ma esse, come le
Moire, sapevano anche rivelare la strada e i mezzi che portavano allo
scopo. Perseus
rubó loro l'occhio nel momento in cui una delle Graie
lo stava consegnando all'altra,
di
modo che nessuna delle sorelle poteva vedere. Cosí l'eroe le
costrinse a rivelare la
strada a quei mezzi per vincere la Gorgo Medusa.
Questa
è proprio quella storia che, tra tutte le leggende eroiche,
è piú legata alla mitologia, e di
cui tra poco dovró narrare ancora qualche particolare.
Le Erinni o Eumenidi
Il
terzo gruppo
delle dee vecchie - oltre alle Moirai e alle Graiai - è
quello delle Erinyes.
Queste
sono
divinità antiche, piú antiche di quelle che sono
arrivate al potere con Zeus.
Lo
dicono loro
stesse quando appaiono sul palcoscenico, come accade in quella tragedia
di Eschilo che ha
per titolo il loro altro nome, Eumenides. Esse sono vecchie - graiai -
ma non hanno i
capelli bianchi : i loro capelli sono serpenti. Il colore della loro
pelle è
nera, le loro vesti sono grigie.
Esse
si
chiamavano anche Maniai, "furie", e, quando perseguitavano Orestes per
il suo matricidio, prima
gli si mostravano nere, quando peró il perseguitato, in un
accesso di furore, si
strappó un dito con i denti, divennero bianche.
Nella
regione in
cui questa storia veniva raccontata, nei pressi di Megalopolis in
Arcadia, si
sacrificava insieme alle Eumenidi e alle Chariti. Le Erinni portavano
il nome Eumenides
nel senso di Dee "benevole" - o perché esse sono veramente
diventate benevole, o solo
perché la gente desiderava che lo diventassero.
Quando
si precisa
il loro numero, esse appaiono in tre.
Ma
puó
succedere, come nel caso delle Moire, di cui esse sono alleate e quasi
doppioni, che venga
invocata una sola per tutte, un'unica Erinys. La parola, di per
sé, significa uno
spirito di
ira e di vendetta.
Ricordiamo
come
la Terra madre, Gaia, ha partorito le Erinni, queste "forti", fecondata
dallegocce di sangue
dello sposo punito, il mutilato Uranos, la cui mutilazione, a sua
volta, ha provocato
nuove punizioni e vendetta. Cosí raccontó Esiodo.
Altri
raccontavano diversamente. Le Erinni erano figlie della Notte, o, nel
caso che fossero
già concepite come figlie della Terra, avevano per padre
Skotos, l'oscurità.
A
Epimenides, il
saggio di Creta, risultava che Kronos avesse anche Aphrodite, le
Moirai, e le Erinyes come
figlie. Vien detto inoltre che il nome della madre delle Erinni fosse
Euonyme e che
questo nome alludesse alla Terra. Piú probabile é
che la forma giusta di questo
nome fosse
Eurynome. Eurynome, del resto, si chiama la madre delle Chariti, delle
quali si
é appena sentito che ricevevano una sacrificio comune con le
Eumenidi in Arcadia. Quale
padre delle Erinni viene nominato anche Phorkys: marito adatto ad
Eurynome,
come
ció apparirà dalla storia di questa dea. Per i
fedeli di Orfeo i genitori delle Erinni erano Hades o lo
Zeus infero e Persephone.
Non
sempre le
Erinni erano alate. Ma anche senza ali, esse ricordavano gli spiriti
rapitori femminili, le
Harpyiai. Il loro alito e la loro traspirazione erano
insopportabíli.
Dai
loro occhi
colava una bava velenosa. La loro voce spesso somigliava al muggito dei
buoi.
Me
per lo
piú esse si avvicinavano abbaiando, perché, non
meno di Hekate, anch'esse
erano
cagne. Le loro fruste erano cinghie guarnite di ferro.
Esse
portavano
fiaccole e tenevano serpenti. Sotto terra, negli inferi, era la loro
dimora.
L'una
di loro si
chiamava Allekto,
"l'Incessante".
L'altra, Tisiphone,
aveva nel suo nome la tisis, la cc rappresaglia o, mentre la terza, Megaira,
l'ira
invidiosa. Erano vergini tutt'e tre, ma rappresentavano tuttavia la
causa della madre
adirata. Apparivano, dovunque una madre fosse stata offesa o
addirittura uccisa.
Come
cagne veloci
inseguivano tutti coloro che avevano trascurato la
consanguineità e l'ordinamento
gerarchico basato su questa. Difendevano dunque anche i diritti del
padre e del fratello
maggiore. Ma ponevano al di sopra di tutto le pretese della
madre, anche quando non erano pretese sanzionate dalla legge.
Tutto
ció appare nella storia di Orestes, portata in scena da
Eschilo. Per ordine di Apollo, Oreste uccise la
madre, l'adultera Klytaimnestra, assassina del marito, per vendicare
suo
padre.
Perció
egli venne perseguitata dalle Erinni.
E
questi spiriti
di vendetta della madre sarebbero risultati piú forti di
tutto il nuovo mondo degli
déi fondato da Zeus, se la figlia del padre, Pallas Athene,
non si fosse schierata al
fianco dei figli di Oreste e del proprio fratello Apollo.
Cosí
l'eroe fu salvato e purificato.
Ma
la venerazione
delle "vecchie dee", le Eumenidi, rimase in vigore, non meno di quella
delle Moire.
Medusa
Le Gorgoni Sthenno, Euryale e
Medusa
Dopo il terzo
gruppo delle Dee vecchie devono seguire quelle figlie di Phorkys che
Esiodo
menziona
immediatamente dopo le Graiai: le Gorgoni (nella nostra lingua:
Gorgones o Gorgus,
plurale di
Gorgo). Esse non vanno paragonate a donne vecchie, ma piuttosto a
maschere.
Dovevano essere
come quelle maschere che si appendevano per Hekate e rappresentavano
questa Dea.
Quando si voleva
arrivare fino alle Gorgoni, si aveva bisogno dell'aiuto delle loro
sorelle, le
Graie.
Poiché
esse abitavano ancora piú lontano di queste, - racconta
Esiodo, nella direzione della
Notte, al di
là dell'Okeanos, vicino alle Esperidi dalla chiara voce.
Erano in tre. Una
delle Gorgoni si chiamava Sthenno o Stheno - un nome connesso con la
parola sthenos,
"forte". La seconda si chiamava Euryale, e, secondo il suo nome,
apparteneva
al vasto mare
(curys e hals).
La terza, Medusa,
poteva, con questo nome, ugualmente appartenere al mare: medusa
é la
"sovrana"
-e quanto spesso proprio il "sovrano del mare" (halos medon,
pontomedon,
eurymedon), che
si chiamasse del resto Phorkys o Poseidon, non veniva invocato con la
forma maschile
del nome Medusa!
-- Gorgides o
Gorgades erano nomi adatti a dee del mare. E non si puó
credere che Gorgo
significasse
esclusivamente qualcosa di brutto e orribile, anche perché
questo nome
veniva dato pure
a bambine, dalle quali i genitori certamente non si aspettavano che
diventassero
maschere repellenti.
Tra le tre
sorelle, Medusa era quella mortale. Le altre due erano immortali e
ignare
della vecchiaia,
come tutte le dee. Accanto alla mortale si posó Poseidon, il
dio dai
capelli scuri,
nella tenera erba e tra i fiori della primavera.
Questo racconto
porta Medusa nella piú stretta vicinanza a Persephone.
Anche questa, la
regina degli inferi, fu rapita tra i fiori della primavera da un dio
oscuro, e
pervenne, come se fosse una mortale, tra i morti. È lei che
manda incontro
la testa della
Gorgone, "dell'orribile figura gigantesca", a coloro che vogliono
penetrare, fino a
raggiungerla, negli inferi. In questo si mostra quasi un altro volto
della bella
Persephone.
Ed é
proprio questo il fatto piú curioso intorno a Medusa:
sebbene anche lei, come sua
madre, il mostro
marino Keto, fosse "di bel volto", tuttavia, insieme con le sorelle,
era simile anche
alle Erinni. Le Gorgoni avevano ali d'oro, e mani di bronzo.
Avevano zanne
potenti, come i cinghiàli, e serpenti intorno alla testa e,
a guisa di
cintura, intorno
alla vita. Chiunque scorgesse 1'orribile volto della Gorgona, rimaneva
senza fiato e si
trasformava, sul posto, in pietra.
In che modo si
era reso possibile che la testa della Gorgone apparisse anche isolata
- secondo una
variazione come mezzo di auto-protezione di Persephone negli inferi,
secondo un'altra,
documentata da numerose raffigurazioni, sul petto di Pallas Athene,
- veniva
raccontato nella storia di Perseus. Sua madre diede a quest'eroe il
nome
Eurymedon, come
se egli dovesse essere anche un cc sovrano del mare o e sposo della
Medusa,
non soltanto il
suo uccisore. Protettrice e guida di Perseo, nella sua impresa di
guadagnarsi la
testa della Medusa, fu soprattutto Athene.
Questa gli
insegnó di procedere contro la Gorgone in modo da non dover
vederne il volto,
ma solo il suo
riflesso nella liscia superficie dello scudo.
Un simile
procedimento si adottava in certi riti d'iniziazione dei nostri giovani
che
dovevano guardare
una maschera riflessa in un recipiente d'argento.
In modo simile
doveva guardare Perseo la testa della Gorgone, senza vederla in faccia.
Egli recise la
testa con una falce che aveva avuta in regalo da Athene o, secondo
altri,
da Hermes o da
Hephaistos.
Dal collo della
Medusa balzó fuori il cavallo alato, Pegasos di cui parla la
storia
dell'eroe
Bellerophon. Ma non solo il cavallo. Insieme con questo e nella stessa
maniera
nacque anche
Chysaor, l'eroe il cui nome significa "colui che ha la spada d'oro".
La testa della
Gorgone, simile a una maschera, restava anche dopo in possesso di
Athene,
come ornamento
del suo scudo o della sua corazza fatta dalla sacra pelle di capra e
chiamata aigis.
Si pensava pure
che quella, originariamente, fosse stata della Gorgone, figlia di Gaia,
cui Athene avesse
strappato la pelle di capra.
La dea Artemis e
certo anche la Demeter adirata - detta Demeter Erinys portavano quel
volto
mortifero-terribile
sul collo, come loro volto proprio.
I fedeli del
cantore Orfeo peró adoperavano la parola Gorgoneion per
indicare il volto che
si
scorge nella luna.
Echidna
Echidna, il serpente delle
Esperidi e le Esperidi
Già
nella storia di Typhoeus, Typhaon o Typhon si é parlato di
una dragonessa, di una Dea
serpentiforme che
nell'Asia Minore e anche in Delfi si chiamava Delphyne.
Essa somigliava
dunque, secondo il suo nome a un delfino, animale marino provvisto di
un
utero (questo si
esprime nella sillaba delph-).
Ma nella nostra
mitologia non é facile distinguere se un Dio o Dea della
grande famiglia di
Phorkys, Proteus,
Nereus o delle corrispondenti divinità del suolo, come il
già nominato Typhon,
l'ateniese
Kekrops, il Kychreus di Salamina, se dunque una divinità di
questa specie
dalle anche in
giú somigli a un serpente, a un delfino o a un pesce.
Esiodo ci
raccontava di una dea, di nome Echidna, "serpente", figlia di Phorkys e
di Keto.
Piú
tardi viene menzionato un altro serpente, figlio degli stessi genitori
e custode
dei pomi delle
Esperidi : e con lui si chiude, in Esiodo, la serie dei figli di
Phorkys.
Ma si ascolti
prima il suo racconto sulla dea.
Era nata in una
grotta, la divina Echidna, dotata di temperamento maschile e di una
figura gigantesca
che non somigliava né agli uomini mortali né agli
immortali Déi.
Per
metà essa era una giovane donna con bellissimo viso e
splendidi occhi, per metà
invece un
orribile serpente gigante mobilissimo che inghiottiva tutto in stato
crudo
nelle
cavità della divina terra. La sua grotta si trovava sotto
una roccia, lontano dagli
déi e
dagli uomini; cosí le era stata assegnata la dimora dagli
immortali.
Il luogo si
chiamava Arima che Omero definisce come "camera da letto di Typhoeus",
sposo
di Echidna, cui
questa partorí tutt'una serie di mostri. Prima di
enumeràre questi,
sia aggiunto come
i nostri antichi pittori di vasi hanno raffigurato un simile essere:
come una bella
dea alata, con corpo di serpente dalle anche in giú. Senza
ali, ma con
corpi di serpente
tanto piú potenti, simili dee o ninfe intraprendono, in una
bella
pittura vascolare
antica, un'azione di culto, raggruppate in coppie, sotto tralci di
vite,
mentre all'altro
lato della pittura si vedono capre in atto di divorar le viti.
Dee o ninfe e
almeno un serpente, il fratello di Echidna, ricorrono anche riel
racconto sul
giardino delle
Esperidi. Ma la storia di Echidna non é ancora finita.
I suoi figli,
secondo Esiodo, erano soprattutto i cani piú terribili della
nostra mitologia:
il cane degli
inferi con tre o addirittura cinquanta teste, Kerberos, e Orthos o
Orthros,
il cane del
tricefalo Geryoneus, figlio di Chrysaor. Orthos aveva due teste,
piú ancora
sette teste di
serpente o almeno una coda di serpente, la quale ultima non manca
neanche a
Kerberos. Herakles ha eliminato Orthos, quando ha ucciso Geryoneus,
portando via
i suoi armenti.
Questo cane aveva
generato con la propria madre, Echidna, la Phix o Sphinx,
un mostro alato
per metà fanciulla per metà leonessa, di cui si
sentirà parlare nella
storia di
Oidipus, e il leone di Nemea che venne ucciso ugualmente da Herakles.
Da Typhaon,
Echidna partorí inoltre la Hydra di Lerna, un serpente
acquatico provvisto
di numerose
teste, al cui posto, quando venivano tagliate, crescevano sempre delle
teste
nuove.
Heracle
e l'Hydra
La Hydra
viene spesso
raffigurata in forma molto simile a quella della madre.
Da
Echidna
é nata anche la Chimaira, il mostro che vomita fuoco e che,
nel suo corpo
ibrido,
unisce le
forme di un leone, di una capra e di un serpente.
Questa
é stata vinta da Bellerophon.
Si
raccontava che
Echidna stessa avesse fatto la fine della maggior parte dei suoi figli:
Argos
che aveva
l'intero corpo cosparso di occhi, l'avrebbe uccisa nel sonno, sebbene
Esiodo
affermi
esplicitamente che essa sia una ninfa imniortale ed eternamente giovane.
Diversi
racconti
riguardano anche il fratello di Echidna, il serpente Ladon, e le
Esperidi.
Ladon,
che porta
lo stesso nome di un fiume in Arcadia, viene definito piú
spesso come
serpente
(ophis)
che non come dragone (drakon). Si sente dire - come anche nel caso di
sua
sorella,
Echidna
- che sua madre sia stata, in realtà, Gaia.
Oppure
Echidna
era sua madre e non sua sorella, e in questo caso il padre era Typhon.
Ladon
aveva
l'incarico di custodire l'albero che portava i pomi aurei.
Egli
si
tratteneva nelle cavità della nera Terra, oppure nella Notte
che si estende
dall'Occidente
al
di là dell'Okeanos e in cui abitano anche le Esperidi,
custodi anch'esse
di
quell'albero.
O le Esperidi erano ladre che non si trattenevano dal gustare i pomi
aurei,
e
forse per
questo doveva attorcigliarsi intorno all'albero il serpente.
Il
racconto segue
ora questa ora quell'altra versione, come pure i pittori dei vasi.
Le
origini stesse
si vedono una volta sotto l'altro dalle mele d'oro.
Secondo
un
racconto sulle nozze di Zeus e Hera che piú tardi
dovró narrare per esteso,
la
madre Terra
avrebbe fatto spuntare quell'albero prodigioso in regalo alla sposa.
Hera
stessa
avrebbe provveduto al custod. Secondo un altro racconto i pomi
sarebbero
appartenuti
piuttosto ad Aphrodite che anche presso di noi, mortali, aveva i suoi
giardini
sacri.
Ad ogni modo, al giardino delle Esperidi apparteneva un serpente, quel
Ladon,
della cui
capacità di emettere diversi suoni, i racconti non si
dimenticano di
parlare,
come non
si dimenticano di ricordare la chiara voce e il canto delle Esperidi
stesse.
Si
lascino ora
stare le questioni, da quante gole Ladon emetteva quei suoni e se
questi
suoni
erano
simili a quelli già ricordati del Typhon. Per lo
piú, al serpente delle
Esperidi
vengono
attribuite due teste, a volte peró tre e in un caso
addirittura cento.
Contro
i racconti
secondo cui Herakles avrebbe abbattuto Ladon, stanno altri, secondo i
quali
l'eroe - o,
per lui, il gigantesco Atlas che in occidente regge la volta celeste
-
avrebbe
ottenuto i pomi in via pacifica: dal serpente, dalle Esperidi o per
mezzo
delle
Esperidi -
sempre secondo come al narratore piaceva.
Le
Esperidi erano
considerate come figlie della Notte; oppure come figlie di Phorkys e
di
Keto; oppure
come figlie di Atlas - per non parlare di quella confusione che vedeva
in
loro le figlie
di Zeus e di Themis: una confusione con le Horai. Con nomi si nominano,
al
solito, tre o
quattro di loro, e sembra anche che questo sia stato il loro numero,
tre
o quattro,
benché nelle raffigurazioni esse appaiono spesso
piú numerose.
Nei
loro nomi
regna una grande libertà. Il loro nome comune, Hesperides,
le mette in
relazione
con
Hesperos, la stella vespertina, stella di Aphrodite.
Un
padre di
questo nome veniva loro effettivamente attribuito ed era superfluo,
giacché le
Esperidi
stesse,
non meno di Hesperos, erano nel loro nome direttamente collegate con
la
sera, con il
tramonto del Sole, con l'ingresso nella Notte : in una Notte,
s'intende,
che
cela in
sé frutti d'oro.
Una
di loro si
chiamava addirittura Hespera o Hesperia, la "serale", la seconda
Aigle,
"la
luminosa", la
terza Erytheia o Erytheis, "la rossastra" e, come quarta, si aggiungeva
Arethusa
che, al
di fuori di questa connessione, figurava come dea di una sorgente.
Un
altro bel
gruppo di quattro nomi di Esperidi é il seguente: Lipara,
"la
liscia
lucentezza", Chrysothemis, "l'ordinamento aureo", Asterope, "il
folgorío",
Hygieia,
"la
salute".
Medusa,
il nome
di una Gorgone, ricorre anche come nome di un'Esperide, e Mapsaura
significa
una dea
che travolge come un "colpo di vento", un'Esperide in funzione di
Harpyia.
Non
soltanto il
saggio Epimenide ha identificato le Esperidi con le Harpyiai.
Non
bisogna
dimenticare la chiara voce che, nelle Esperidi, ricorda soprattutto le
Sirene.
Ma
i racconti
sulle Sirene e sulle Arpie devono esser ricordati in una connessione a
parte,
date
la
particolare forma e le particolari funzioni di queste dee.
Piú
strettamente sono connessi tra di loro Echidna, Ladon e le Esperidi.
E
a questo gruppo
appartengono anche le menzionate ninfe-serpenti sotto i tralci di vite.
Una
di loro suona
su un flauto doppio. Quando i nostri antenati sentivano, all'ora del
tramonto
o
durante la notte, un suono di flauti, sapevano che quel suono spesso
significava
un
invito a riti
o iniziazioni segreti. Ma i misteri di quei riti e iniziazioni potevano
anche
farli
rabbrividire.
Heracle
ed Acheloos
Acheloos e le Sirene
Chiunque voglia
raccontare delle Sirene, deve ricordare anche Acheloos, il
piú importante
delle nostre
divinità fluviali, che, accanto a Phorkys, viene considerato
come padre delle
Sirene.
Esiodo
rammenta Acheloo, dai vortici argentei, tra i figli di Tethys e di
Okeanos,
tra le
divinità fluviali, ma non al primo posto. Omero, per contro,
lo mette, una volta,
perfino davanti
allo stesso Okeanos,"origine di tutte le cose".
Mare e fiumi,
sorgenti e fontane potevano scaturire anche da Acheloo.
Quando Okeanos
viene raffigurato come uomo barbuto con corna di toro, ció
avviene su
modello di
Acheloo. Se no, dalla testa potentemente coperta di capelli del padre
Okeanos
- in ultimo,
dalla sua maschera che mostra un volto plasmato da profonda e
melanconica
serietà
- spuntano, invece, branche e antenne di granchio. Le corna di toro
avevano una
parte particolare
nei racconti su Acheloo. Herakles ha lottato anche contro questo dio
acquatico, non
solo contro il "Vecchio del Mare" e contro Tritone. Come questi, anche
Acheloo aveva,
come parte inferiore del suo corpo, un pesce serpentiforme.
Ma a lui Herakles
staccó un corno. Dalle gocce di sangue cadute dalla ferita
nacquero le
Sirene: nascita
simile a quella delle Erinni.
Nella nostra
vecchia lingua esse si chiamavano Seirenes.
Nella sua forma
maschile, questa parola significava una specie di vespe o api, caso
analogo a quello
di Pemphredo, una delle Graie. I nostri antichi artisti o vasai
raffiguravano
anche Sireni maschili, con la barba. Che in questi casi si trattasse di
un Sireno o di
una Sirena e non di un altro qualsiasi essere ibrido, risulta dalla
prevalenza delle
forme uccellesche.
A queste viene
aggiunta una testa umana e spesso anche mammelle di donna e braccia.
Gli artigli ai
piedi sono a volte fortissimi e ricordano le grinfie di un leone, quasi
volessero
alludere a un'affinità tra Sirene e Sfinge.
Il corpo
inferiore puó esser modellato anche a forma di uovo.
Non si
puó non pensare alle Graie, cc vergini simili a cigni o, o
alla Medusa, quando
un uccello
provvisto di un volto di Gorgone e di due paia d'ali afFerra con
ciascuna
mano un giovane
che si dimena, per rapirli. Certo, un essere rapitore é
piuttosto una
Harpyia, detta
cosí appunto per questa sua funzione, mentre le Sirene hanno
per loro
caratteristiche
principali, oltre alla forma di uccelli, quell'arte che le avvicina
alle Muse.
Esse portano la
lira o suonano il doppio flauto, oppure, quando sono raffigurate in
coppie, l'una si
serve dell'uno, l'altra dell'altro strumento musicale.
E con tale
accompagnamento, esse cantano anche. Cosí risulta dai
racconti, dai loro nomi
e dalle
raffigurazioni. Non si poteva ammirarle abbastanza nei monumenti
funerari del
nostro periodo
classico. L'arte funeraria non le aveva prese dal favoleggiamento dei
nostri
navigatori, ma da storie antiche che da allora sono cadute in
oblío.
Naturalmente
anche le Sirene, come la grande dea Skylla, sono entrate nelle favole
dei
navigatori. Omero
fa parlare di loro il grande mentitore, Ulisse. Egli rammenta due
Sirene.
Nessun nome viene
pronunciato, ma in un antico dipinto vascolare si puó
leggere il nome
Himeropa, "colei
che con la sua voce suscita il desiderio". Piú tardi si
facevano i nomi
di due triadi di
Sirene. La tradizione sui singoli nomi é, anche in questo
caso, divergente:
Thelxiepeia,
Thelxinoe o Thelxiope é "l'incantatrice", poiché
thelgein significa "incantare";
Aglaope,
Aglaophonos o Aglaopheme é "colei che ha la voce splendida";
Peisinoe o
Pasinoe puó essere la cc seduttrice o nel caso che sia
giusta la prima variante.
Una seconda
triade é costituita delle Sirene venerate nella Magna
Grecia, sulla costa
tirrenica
meridionale dell'Italia : Parthenope, "la verginale" di Neapolis, la
Napoli
odierna,
Leukosia, "la dea bianca" e Ligeia, "colei che ha la voce chiara", a
sud di Napoli.
Quali madri delle
Sirene, che le avrebbero partorite ad Acheloos, vengono nominate
Sterope
con un
significato analogo a quello del nome dell'Esperide Asterope, oppure
una Musa.
Ma racconti
piú antichi conoscevano un'altra madre.
E conoscevano
anche una relazione piú stretta con Persephone.
Si narrava che le
Sirene fossero state le compagne della regina degli inferi.
Si cantava di
loro che fossero figlie della Chthon, delle
"profondità della terra" e che
le mandasse
Persephone. Nella raffigurazione di un antichissimo vaso si vedono due
Sirene a
cantare davanti a
una grande dea seduta su un trono, rivolte verso la nave di Ulisse
assalita da due
grossi uccelli.
Il compito delle
Sirene era di ricevere coloro che arrivavano presso la grande regina
degli
inferi e di
introdurli presso di lei con i dolci suoni della loro musica e del loro
canto.
E precisamente
non solo i navigatori sfortunati, ma tutti coloro che dovevano entrare
nel regno dei
morti.
Con la loro arte
esse mitigavano e trasformavano I'amarezza della morte.
Dai Sireni maschi
di certe raffigurazioni arcaiche forse la morte delle donne doveva
esser raddolcita.
Ulisse racconta
la storia delle Sirene nel modo seguente.
Kirke l'aveva
ammonito di evitare il canto e i fioriti prati delle Sirene
incantatrici.
Se tuttavia
evitarli non fosse stato possibile, lui doveva essere il solo a sentire
le
chiare voci,
avendo peró prima otturato con la cera le orecchie dei suoi
compagni ed
essendosi fatto
legare all'albero della nave. Le Sirene stavano sul loro prato.
Questo appariva
fiorito, ma - e a questo punto il racconto passa in una storia
raccapricciante
inventata certamente dai navigatori - era pieno di ossa umane
putrefatte
e di pelli umane
dissecate. Ci vien riferito anche ció che esse cantavano a
Ulisse che
stava in piedi,
legato: "Vieni piú vicino, o Ulisse molto celebrato, grande
gloria dei
Greci! Ferma la
tua nave per sentire la nostra voce! Nessuno é ancora
passato qui con la
nave nera, senza
ascoltare il nostro canto. Il canto scorre dalle nostre labbra come il miele!
Chi l'abbia
ascoltato, ne ricava piacere e un sapere piú alto di quello
che avesse prima.
Noi sappiamo,
infatti, tutto ció che Greci e Troiani hanno sofferto
intorno a Troia per
volere degli
déi. E sappiamo tutto ció che avviene i n
qualsiasi momento e luogo sulla terra!
" Si dice che a
queste parole Ulisse abbia voluto sciogliere i propri legami, ma i suoi
compagni lo
abbiano legato ancora piú saldamente".
E in fondo non ci
si potrebbe stupire di un simile effetto del canto: le Sirene
apparivano come
dee oracolari onniscienti, quali forse effettivamente erano nei luoghi
che tributavano
loro un culto.
Non di meno
peró esse erano dee della morte e dell'amore, nel servizio
di quella Dea
degli inferi che,
nella menzionata raffigurazione antica, si vede troneggiare davanti a
un
simbolo fallico.
In certo qual
modo la Dea del regno dei morti é, essa stessa, morta.
Le Sirene
servivano la morte e dovevano morire esse stesse - cosí dice
un racconto se
una nave passava
vicino senza che l'equipaggio fosse caduto in preda a loro.
Esse si uccisero,
quando Ulisse e i suoi compagni si eran salvati.
Esiodo raccontava
che Zeus avesse assegnato l'isola Anthemoessa, "la fiorita", come
dimora
alle Sirene.
Ció di
nuovo quadra con il fatto che esse erano anche dee dell'amore.
In un
bassorilievo di età piú tarda si vede una Sirena
che ha solo i piedi formati come
quelli di un
uccello, avvicinarsi, assetata d'amore, a un uomo addormentato di tipo
satiresco, nella
maniera in cui per esempio Selene avvicina Endymion. Un certo fascino
d'amore non
mancava neppure alle antiche raffigurazioni ovoidali delle Sirene, dato
che
queste spesso
stringevano a sé uomini raffigurati in proporzioni ridotte.
Esse rendevano
servizio non solo alla Dea della morte, ma anche agli uomini mortali,
portando questi -
o per lo meno i loro desideri - con ali d'oro verso le regioni del
cielo.
Thaumas, Iris e le
Arpie
Thaumas, il
grande figlio di Pontos e di Gaia, fratello di Nereus e di Phorkys, non
é
probabilmente che
un ulteriore nome del " Vecchio del Mare". Perció si dice
che egli sia
un figlio di
Tethys. Thauma significa meraviglia e prodigio e Thaumas era un
prodigio del
mare
probabilmente nello stesso senso in cui lo erano i suoi fratelli or ora
menzionati o
Proteus. Poco fa
si é accennato alle facoltà trasformiste e agli
incantesimi di questi tre.
Le figlie
partorite a Thaumas dall'okeanina Elektra sono Iris, la dea di nome
"Arcobaleno",
e le Harpyiai.
Erano dee che avevano la funzione di intervenire negli eventi e destini
dei mortali.
Iris, dotata di
piedi veloci, ma anche di grandi ali, aveva la carica della messaggera.
Per dirla nella
nostra lingua: essa era angelos. Aveva un culto in Hekatesnesos,
nell'isola di
Hekate presso l'isola di Delo. Hekate stessa si chiamava una volta
Angelos.
In questa sua
qualità era considerata come figlia di Hera e di Zeus.
Si raccontava che
una volta essa rubó l'unguento di bellezza di sua madre, per
regalarlo
alla rivale di
questa, Europa. Quando Hera volle punirla, essa si rifugió
prima presso il
letto di una
puerpera, poi in un corteo funebre e, infine, al lago acherusio negli
inferi,
dove venne
purificata dai Kabiri: avventura ben degna di Hekate.
Ma si
sentirà subito che anche Iris ha visitato gli inferi.
Un'altra figura,
oltre a quella dell'Angelos, in cui si cela Iris, é forse
quell'Eidothea,
figlia di
Proteus, il cui nome allude a un eidos, cioé a un fenomeno
visibile qual'é l'arcobaleno.
Per quale ragione
Iris che secondo il suo nome era una messaggera del cielo, poteva esser
mandata dagli
déi negli inferi, lo si puó sapere da Esiodo.
Lontanissimo
dagli déi abita nel suo celebra palazzo, sotto rocce
incavate, la Dea odiosa,
Styx.
In quelle parti,
il cielo poggia su colonne d'argento.
Raramente Iris
arriva fin là, attraverso l'ampio dorso del mare.
Ma quando scoppia
una lite o una contesa tra gli immortali e qualcuno degli olimpici
ricorre perfino
alla menzogna, Zeus manda Iris con la missione di portare da quelle
lontananze, in
una coppa d'oro, il grande giuramento degli Déi, la gelida
acqua dai molti
nomi, che
precipita dalle alte rocce.
È
l'acqua della Styx. Anche quest'acqua scaturisce, sotto la terra e nel
profondo della
notte, dal corno
di Okeanos. Il suo corso é diviso in dieci rami.
Nove di essi
corrono tutt'intorno alla terra e al mare. Uno invece erompe dalle
rocce, a
danno degli
Déi.
Chi tra questi
giuri il falso su quell'acqua, resta immediatamente privo di respiro
per un
anno intero. Non
gode più l'ambrosia e il nettare, il cibo e la bevanda degli
Déi, bensí
rimane ammutolito
e privo di sensi sul suo giaciglio. Dopo la fine di quell'anno gli
toccano
altre e peggiori
punizioni. Per nove anni egli resta escluso dal consiglio e dai
banchetti
degli
Déi.
Solo nel decimo
anno viene riammesso alle loro riunioni.
Anche le Harpyiai
o Arepyiai hanno, come Iris, piedi veloci ed ali.
Solo di rado
appaiono in una forma cosí simile agli uccelli, come lo
é quella delle Sirene.
Ma anche le loro
dita umane sono ricurve come gli artigli, e fatte per aggredire e
rapire.
Non per niente si
chiamano "le rapitrici".
Quasi nello
stesso significato di Harpyia si usa anche la parola thyella o aella,
"la bufera".
Quando qualcuno
scompariva senza tracce sul mare, come Ulisse, si diceva:
"Lo hanno rapito
le Arpie".
Nel celebre caso
delle figlie di Pandareos, narrato già nell'Odissea, si
aggiunge ancora:
le infelici
fanciulle, rapite dalla casa dei loro genitori defunti, sono state date
dalle
Arpie in servizio
alle Erinni. Si é già detto che Arpie ed Erinni
si somigliavano tanto da
potersi
confondere. Una loro affinità alla Medusa risulta dal volto
di Gorgone portato da
quella Harpyia
che ha quattro paia d'ali e che potrebbe esser presa anche per una
Sirena.
Ma risulta anche
dal fatto che secondo Omero una Harpyia -- di nome Podarge, "colei che
ha i
piedi veloci"
"pascolava" sulla
riva dell'Okeanos e diventó, dal vento occidentale Zephyros,
madre dei
cavalli immortali
di Achille, Xanthos e Balios.
Anche dal collo
di Medusa balzó fuori un cavallo prodigioso e gli artisti
antichi
raffiguravano lei
stessa ora con il corpo ora con la testa di un cavallo.
Sembra che i
nostri antenati abbiano apprezzato, in un certo momento, la
velocità dei cavalli
non meno di
quella dei venti o degli uccelli.
Esiodo ci
lasció i nomi di due Arpie: Aello che porta anche il nome
Aellopus "colei che ha i
piedi come il
vento", e Okypete che vien detta anche Okythoe o Okypode,
"colei che vola
veloce", "la veloce" o "colei che ha i piedi veloci".
Ma siccome nel
caso delle Arpie, esattamente come in quello delle Sirene e delle
Graie,
si alternano i
numeri due e tre, é rimasto tramandato anche un terzo nome,
Kelaino,
"l'oscura", un
nome portato anche da una figlia di Atlas.
Figlie di Atlas
erano le Esperidi, è tra queste si trova una Mapsaura, "il
colpo di vento".
Nemici delle
Arpie, e nemici vittoriosi, erano i figli alati di Boreas, il vento del
nord,
Kalais e Zetes.
La loro vittoria
vien narrata nella storia del cieco veggente Phineus cui le Arpie,
come grossi
uccelli, hanno rapito o sporcato il cibo. In questo racconto,
com'é presentato
dal poeta
Apollonio di Rodi, figura anche Iris che fa notare ai Boreadi, quanto
sia contro
l'ordinamento
della natura - contro la Themis - inseguire con le armi i "cani del
grande Zeus".
Inseguitori e
inseguite tornano quindi indietro presso le isole che prima si
chiamavano
Plotai, "le
natanti", da allora invece si chiamano Strophades, le isole della
svolta":
le Arpie
raggiungono le profondità della terra sotto l'isola di
Creta, e Iris l'Olimpo.
Le figlie di Nereus
L'okeanina Doris
partorí a Nereus cinquanta figlie,
le Nereidi,
nostre celebri Dee marine, le cui figure affascinanti - anticamente
vestite,
piú
tardi nude - ci appaiono cosí spesso in atto di cavalcare
animali favolosi del mare o
sul dorso di un
Tritone. Il piú antico animale prodigioso di questo genere
che ci sia
rimasto in
raffigurazioni é un cane-pesce: davanti cane, dietro pesce.
Su questo
peró non cavalca alcuna Nereide, e per il momento
é meglio restare tra queste
belle Dee, i cui
volti simili a boccioli furono tanto celebrati.
Il numero,
cinquanta, delle Nereidì viene esplicitamente e
ripetutamente menzionato,
anche da Esiodo
stesso, sebbene egli poi ne enumeri cinquantuna, tra le quali ad ogni
modo
anche una Doris.
I nomi non sono perfettamente uguali in tutte le enumerazioni.
Ai nostri poeti
piacevano questi nomi, per il loro suono e per le deliziose immagini ed
impressioni che
suscitavano. Perció essi, sin da Omero, riempivano
volentieri numerosi
versi dei loro
poemi con questi nomi, senza temere che una simile nuda enumerazione
potesse stancare
l'ascoltatore. Sia dunque permesso anche qui, ih questa breve
illustrazione
della nostra mitologia, di riprodurre, dietro Esiodo, la lista delle
Nereidi,
per chiudere con
essa i racconti sulle antiche divinità non-olimpiche.
Aggiungeró solo
i significati dei
nomi, come li potevano intendere i nostri antenati, nei casi in cui
ció
sembri alquanto
chiaro. Le figlie di Nereus erano dunque le seguenti:
Ploto, "la
natante", Eukrante "colei che porta al compimento", Sao, "la
salvatrice",
Amphitrite (che -
come si sentirà piú tardi - diventó
sposa di Poseidon), Eudora
"colei dai buoni
regali", Thetis (- di cui si é già parlato e si
parlerà ancora -),
Galene, "la
bonaccia", Glauke "la verdemare", Kymothoe, "la veloce come le onde",
Speio "l'abitante
di grotte", Thoe, "la rapida", Halia; "la marina", Pasithea,
Erato "che
suscita i desideri" (- cosí si chiamava anche una delle Muse
-),
Eunike "colei
dalla buona vittoria", Melite, Eulimene "colei del buon porto",
Agaue "la
gloriosa", Doto, "la donatrice", Proto, "la prima", Pherusa, "la
portatrice",
Dynamene, Nesaia
"l'abitante di isole", Aktaia, "l'abitante della costa",
Protomedeia "la
prima sovrana", Doris (- che, esattamente come Eudora, é
anche Okeanina;
i due nomi hanno
un significato uguale -), Panopeia, Galateia (- la dea, simile ad
Afrodite,
corteggiata dal
ciclope Polyphemos, futuro nemico di Ulisse, ed amata dal bell'Akis -)
Hippothoe e
Hipponoe "simili a cavalle nella velocità e nell'impeto",
Kymodoke
"colei che para
le onde", Kymatolege "che placa le onde", Kymo, "la dea delle onde",
Eione "la dea
della spiaggia", Halimede "la dea marina del buon consiglio",
Glaukonome
"l'abitante del verde del mare", Pontoporeia "la viaggiatrice del mare
o,
Leiagora ed
Euagora cc quelle del bel parlare", Laomedeia "sovrana del popolo",
Polynoe ed
Autonoe "che donano intelligenza ed ispirazione",
Lysianassa "la
Signora liberatrice", Euarne, Psamathe "la dea della sabbia",
Menippe, "la
cavalla impetuosa", Neso, "la dea dell'isola", Eupompe
"che offre buona
scorta", Themisto (- quasi un alter ego della grande dea Themis -),
Pronoe, "la
previdente" e Nemertes, "la verace" che, appunto, sapendo e dicendo la
verità,
somiglia a suo
padre.
Cosí
chiude Esiodo la sua lista delle Nereidi. In altri elenchi ricorrono
anche altri nomi.
Non tutte le
figlie di Nereus erano considerate anche figlie di Doris.
Nella tarda
antichità si voleva distinguere tra le due forme
Néreidcs e Néréides nel senso
che solo queste
ultime fossero anche "Doridi".
Tale distinzione
peró non ha fondamento in alcun racconto.
Tra le altre
Nereidi, non menzionate da Esiodo, Apseudes "colei che non mentisce"
appare
già in
Omero e porta una caratteristica di suo padre, il Dio che dice la
verità.
Le Dee del mare
erano anche dee oracolari. La piú antica tra di loro,
Tethys, aveva un
oracolo presso
gli Etruschi. Le sue nipoti, figlie di Nereus, hanno salvato
- almeno
cosí si credeva - molti navigatori nei pericoli del viaggio
marino.
Ed erano loro ad
insegnare agli uomini i misteri di Dionysos e di Persephone.
Un inno
attribuito al cantore Orfeo allude a questo fatto, ma il racconto
stesso non é
rimasto
conservato. La notizia relativa a un figlio di Nereus, Nerites con cui
Aphrodite
si abbandonava a
giochi amorosi, fa parte già dei racconti che riguardano la
grande dea
dell'amore:
racconti che seguiranno adesso.
- Da "La
Mitologia
dei Greci" di Carlo Kerenyi
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