-   GLI DEI DEI GRECI - 04  -

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Hecate

Hekate

   ALTRE DIVINITA' PREOLIMPICHE

Nei Miti Greci vi sono da considerare tre Divinità "telluriche" o per meglio dire "prerolimpche": la Dea marina Tethys, la Dea della Notte Nyx e la madre Terra Gaia. Quindi una triade di Dee. Vi sono altri Dee che hanno questo aspetto, talvolta questi aspetti rappresentano una stessa Dea. Travolta sorelle o tradi elettive. Cosi abbiamo anche tre Dee che entraono in gioco nel conflitto della guerra di Troia. Nel giudizio di Paride appaionio anche tre Dee: Era, Athene e Aphrodite. A similitudine di questo vi sono citati i tre aspetti lunari:
 La Luna crescente, la Luna piena e calante, un aspetto divino che e' presente nel Cielo. Questi tre aspetti cono anche riconducibili a due: nell'aspetto crescente ed in quello calante.

Il piú grande periodo festivo, nella Grecia antica e' invece, l'Olimpiade, consisteva di cinquanta lune, o - in un caso sí in un caso no - di , quarantanove :
un alternarsi che spesso si rispecchia anche nei racconti. Tutto ció non vuol dire che la grande Dea trimorfa  apparirà sotto diversi nomi, non sia altro che la Luna.


           Le Dee del fato (Moirai)

È stato ricordato come davanti alla Dea Notte perfino Zeus provasse un sacro timore.
Secondo i racconti dei fedeli di Orfeo,  Nyx stessa era una Dea triplice.
I figli della Notte erano  le Dee del fato,
le Moirai.
Il Mito si ritrova nel nostro Esiodo,  anche se le Dee vengono anche considerate come figlie di 
Zeus e della Dea Themis. Ma come sappiamo i Miti tendono a spiegare anche simbolicamente dei Significati Trascendenti di diversa natura.
In tempi piú tardi, i fedeli di Orfeo ritenevano che esse abitassero in una grotta nel cielo, presso un lago, la cui acqua bianca attraverso la grotta sgorgava: immagine evidente della luce lunare.
Il loro nome, la parola moira che significa " parte", nonché il loro numero  corrispondevano ai tre "aspetti "  della Luna. È per questo che canti orfici citano le "Moirai vestite di bianco".
Le Moirai, sono conosciute anche come come filatrici, Klothes.
La prima di loro si chiama infatti Klotho. La seconda si chiama Lachesis, la  "distributrice",
la terza Atropos,  "colei che non puó esser stornata".
Omero parla di una sola Moira, di una sola Dea filatrice  "forte",  "difficile a sopportarsi",  "distruggitrice".
Quindi troviamo anche in questa citazione una sola Dea con tre aspetti.

  Le Moirai filano,  e questa filatura rappresenta il "tempo" della nostra vita, fintanto che il filo dura dura anche la nostra esistenza. La lunghezza avrà il filo, dipende esclusivamente da loro e nemmeno Zeus puó cambiare la loro decisione.
Zeus egli puó prendere la sua bilancia d'oro, preferibilmente
nelle ore meridiane, per misurare con essa quale uomo e' destinato a morire nelle le lotte degli umani.
La potenza delle Moirai risale probabilmente a un'epoca piú antica del periodo della Grecia classica.
E esse non sempre costituiscono una triade.
Ad esempio, in occasione delle nozze
della Dea Thetis con il mortale Peleus, esse appaiono - in quattro.
A Delfi, invece, erano venerate due di loro: una Moira della
nascita e una della morte.
E questo ci fa capire che la personificazione degli Dei era simbolica, in un certo senso rappresenta aspetti astratti che gli artisti raffuguravano nelle loro opere sacrali. Nella guerra tra Dei le
Moirai partecipano alla lotta contro i Giganti - con pestelli di bronzo.
  Apollon - cosí raccontava un antico poeta scenico - ubriacó le vecchie Dee, per salvare il suo amico Admetos dal giorno della morte.
Nel Mito di Melagros  esse  apparvero alla nascita dell'eroe Meleagros, nella casa del re Oineus.
Klotho predisse che il fanciullo diventerebbe di animo nobile, Lachesis preannunció il suo eroismo, Atropos, invece, profetizzó che la vita di Meleagros non poteca durare di piú del tizzone che in quel momento si trovava già nel fuoco.
La madre, Althaia, tolse il tizzone da fuoco e lo conservo'
conservó.
 Atropos e' rappresentata come la piu' piccola delle sorelle, ma piu' vecchia e potente.

  Tra i figli della Notte vo sono:
la Morte che ha tre nomi : come Moros, Ker e Thanatos; accanto alla Morte si trova suo fratello, Hypnos, il Sonno, e l'intero popolo dei Sogni; Momos, il Biasimo, e Oizys, il Lamento; le Esperidi che custodiscono i loro aurei pomi al di là dell'Okeanos, e la Dea Nemesis : l'Inganno e l'Amoreggiarnento (Apate e Philotes); la Vecchíaia, Geras e la Discordia, Eris.

Ade e Persephone

   Le Dee Eurybia, Styx e Hekate

Le Dee del fato sono anche riassunte in un'unica Figura con l'appellativo di: Moira Krataia, la  "forte Moira".
  Di seguito vi sono altre figure di Dee che secondo Erodoto hanno legami di parentela.
Eurybia la Dea "largamente potente ". Bia significa  "potenza" ed e' sinonimo di kratos, la "forza".
Eurybia
e' una figlia di Gaia. Suo padre (il Mare), Pontos.
Suoi fratelli: Nereus e Phorkys,  i due Dei detti anche
"vecchi del mare", Thaumas, il Dio che portava il nome "meraviglia del mare" e Keto, la Dea del bel viso, nominata anche come  "mostro marino".
Eurybia e' nominata anche come la Dea dal cuore d'acciao.

Essa partorí figli: Krios "l'ariete celeste". E' uno dei due Titani rimasti celibi.
Poi: Astraios, lo  "Stellato"; Pallas, marito della Styx; e Perses, padre di Hekate.

Styx ha un senso odioso, perche' connesso con il termine stygein = "odiare".
È il nome del fiume che circonda gli inferi con nove giri.

Anche la gelida cascata sull'alto monte Araonios, in Arcadia, ha preso lo stesso nome del fiume degli
inferi.
Con la Dea che aveva questo stesso, nome, (in un Mito secondario), si cita che Zeus avesse generato Persephone.

Esiodo, ritiene che Styx sia la  piu' potente tra le figlie piu' anziane di Okeanos e di Tethys.
Il racconto dice : oltre a Zelos e a Nike  ("Zelo" e  "Vittoria"), Styx partorí a Pallas anche Kratos e Bia  ("Forza" e "Potenza").
Questi due Dei non abbandonavano mai Zeus.

Questo per volonta della stessa Styx quando Zeus chiese l'aiuto di tutti gli Dei per fronteggiare i Titani.
Egli aveva promesso che i suoi alleati avrebbero ottenuto il giusto premio e venerazione, chi gia' venerato avrebbe mantenuto la sua dignita'.
Styx si alleo' per prima con gli Dei dell'Olimpo, con i suoi figli. La Dea e' saggia come suo padre Okeanos.
Zeus la onoro', e le conferi il dono piu' onorevole che e' il giuramento degli Dei.
Nemmeno gli Immortali possono giurare il falso sul nome di Styx.
Essa rimase pero' legata agli inferi e non divento' una Dea Olimpica.
  I figli della Styx invece divennero gli accompagnatori di Zeus.
Si ricorderà, come Kratos e Bia furono anche gli armigeri di Zeus nella vicenda che riguarda la pinizione di Prometeo.
La Dea alata Nike mantenne invece rapporti
stretti con la figlia di Zeus, Pallas Athene.
Hekate, la terza figura di questo gruppo, e' sempre particolarmente vicina, anche se il suo nome significa "colei che e' lontana".
Hecate ha affinita' con Apollon e con Artemis, infatti entrambi sono anche appellati con i nomi di Hecatos e Hecate.
La Dea, generalmente e' anche considerata come una delle figlie della Notte.
Esiodo ci traccia anche un'altra genealogia: la coppia titanica Phoibe e Koios aveva due figlie : Leto, madre di Apollon e di Artemis, ed Asteria, secondo una Dea astrale, che con Persaios o Perses, figlio di Eurybia, partorí Hekate.
Quindi e' nipote della stessa coppia celeste di cui e' nipote Artemis.
Similmente alla Dea Phoibe un appellativo della Dea Luna.
Hekate, e' rappresentata anche con la fiaccola lucente come Dea Luna stessa. Artemis, talvolta porta anche lei la fiaccola, ma non e' mai concepita come la personificazione diretta della Luna, ma mantiene caratteristiche diversificate.
 Esiodo la distingue, da Artemis, rilevando che Hekate e' "figlia unica", monogenes.
Essa assomigliava pure in questo riguardo a
Persephone, mentre del resto era una Dea onnipotente, e precisa mente una Dea trimorfa.
Zeus la onoro' sopra tutte le altre, permettendole di aver parte
nella terra, nel mare deserto e nel cielo stellato.
Non la spoglio' di questa triplice dignita' che  gia' aveva in tempi piu' antichi quando dominavano i Titani.
Essa e' dunque una  Titanessa tra i Titani, anche se queste sue caratteristiche non vengono sempre citate nei Miti.

Si dice, anche che sia stata lei la Krataiis, quella "Forte", 
che con Phorkys partorí il mostro marino femminile Skylla.
Vi sono racconti dei suoi amori con
Dei del mare e con Triton definito da Esiodo "largamente potente", eurybias.
Si racconta anche che Hekate, quale sovrana degli inferi, (con Ade e Persephone) vagasse,
talvolta di notte, con le anime dei morti, accompagnata dal latrato dei cani. Ed il suo animale  e' il cane o la lupa.
Essa e' "vicina" poiche' e' detta anche
Prothyraia,. e puo' portare aiuto alle puerpere o anche difficolta'. Infatti e' una Dea dai diversi aspetti: benevoli o anche malefici di soliti rappresentati con tre maschere come gli aspetti lunari.

Skylla

Skylla


  Skylla, Lamia, Empusa e altre figure terrificanti

Hekate aveva parte nel cielo, nella terra e nel mare, ma non é mai diventata una Dea olimpica.
Essa apparteneva cosí strettamente alla vita delle nostre donne e con ció anche alla vita
di noi uomini, che perció appariva inferiore alle spose e alle figlie di Zeus.
D'altra parte, la sua sfera di sovranità- e particolarmente il mare, dove si svolgevano i suoi amori primordiali - era cosí immensa che l'Olimpo non avrebbe potuto abbracciarla.
Quando essa non vagava per le strade, dimorava nella sua grotta.
Cosí faceva anche sua figlia Skylla, spaventoso mostro marino.
Tale, almeno, essa appare nei racconti dei nostri navigatori che peró probabilmente volevano, con le loro parole, impressionare gli abitanti della terraferma. Essi, infatti, conoscevano bene la natura dei siti marini piú pericolosi e certo non mettevano in rapporto la grande dea, che poteva apparire in diverse forme, con un unico luogo determinato. Essi raccontavano  - e il loro racconto ci é rimasto conservato nell'Odissea in una forma
talmente esagerata che la figura già originariamente triplice della dea vi risulta ancora raddoppiata - quanto segue : nel mezzo della grotta di Skylla vi sono due scogli, uno dei quali, di pietra liscia, si erge fino al cielo con la sua cima invisibile. La grotta si apre verso occidente, cioé verso l'Erebos; l'oscurità é impenetrabile.
In questa grotta dimora Skylla che latra spaventosamente come una giovane cagna.
I suoi dodici piedi tanti ne doveva avere una Hekate raddoppiata - non sono completamente sviluppati. Le sue sei orribili teste riposano ciascuna su un collo lungo.  Nelle sue bocche i denti letali si schierano su tre file.
Essa, porgendo le teste dalle profondità della grotta e perlustrando le rocce, dà la caccia ai delfini, alle foche e ad altri mostri marini piú grandi. Dalla nave di Ulisse essa, inavvertitamente, ha tirato giú sei uomini, ingoiandoli, poiché l'eroe, istruito dalla maga Circe, stava piú attento ad evitare l'altro scoglio.
Anche di quest'ultimo bisogna dire alcune parole. Sotto l'altro scoglio dimorava Charybdis. Costei appartiene ormai completamente al mondo favoloso dei navigatori e quasi per niente alla mitologia, sebbene Omero la chiami « la divina Charybdis », conferendole cioé lo stesso epiteto (dia) con cui orna per esempio
la bella ninfa di una grotta, Kalypso. Tre volte al giorno Charybdis inghiotte l'acqua del mare, per risputarla tre volte al giorno. Sopra, sulla cima dello scoglio che era ben meno alto di quello di Skylla là dirimpetto, cresceva un fico selvaggio. Charybdis stessa restava invisibile. Piú tardi si raccontava che essa fosse figlia di Gaia e di Poseidon, un mostro divoratore, che avrebbe rubato i buoi di Herakles e perció i fulmini di Zeus I'avrebbero fatta precipitare negli abissi del mare. Qualcosa di simile viene raccontato anche di Skylla.
Anche lei, la cagna selvaggia, avrebbe rubato i tori di Herakles e sarebbe stata perció uccisa dall'eroe. Suo padre, Phorkys, l'avrebbe poi restituìta alla vita, bruciando con fiaccole e poi facendo ribollire il cadavere della figlia. Perció Skylla non avrebbe piú paura nemmeno. dalla regina degli inferi, Persephone. In essa dobbiamo riconoscere una grande dea dello stesso genere di sua madre, Hekate che vagava in forma di cagna o accompagnata dal latrato dei cani.  Probabilmente Skylla é ritratta in un modo del tutto corrispondente alla sua natura in quelle raffigurazioni che la presentano nella forma di una bella donna che nella regione delle anche passa in teste di cani e sotto le anche in una coda di pesce.
Se oltrecció essa appare anche alata, ció corrisponde pure alla sua natura, con la quale essa, a differenza di Charybdis, non regna soltanto sulle profondità, ma anche sulle lontananze che si estendono sia verso il basso che verso l'alto. Ma questo era forse il suo aspetto per i nostri vicini occidentali, gli Etruschi, piú che per noi. Sarà per questo che Skylla vien detta anche  "Tyrsenis" o, la  "Etrusca" .  La madre di questa dea - di un'altra, umana Skylla, figlia di Nisos per ora non si parla - non si chiamava soltanto Hekate, ma anche Lamia.
A questo punto le storie che la riguardano, passano in un genere di racconti che non é piú neanche quello delle invenzioni dei navigatori ed é spostato ancora piií di queste verso gli estremi margini della mitologia. Si tratta di favole raccontate ai bambini allo scopo di spaventarli e farli star buoni, ma anche di divertirli. Lamia o Lamo é, secondo il suo nome, la « inghiottitrice »: laimos significa la gola.
Con il nome abbreviato Lamo la si chiamava probabilmente ad uso dei bambini, nel linguaggio delle balie, similmente ad altre figure terrificanti:
Akko, Alphito, Gello, Karko e Mormo per Mormolyke. Cosí sì narrava: Lamia era una regina che regnava in Libia. Là si mostrava perfino la sua grotta. Zeus l'amava - poiché essa era bella - e generó con lei figli.
Questi caddero vittime della gelosia di Hera. O la madre stessa, presa dalla follia, li uccise, o Hera in persona. Da allora, Lamia é diventata brutta nella sua aflizione e, per invidia, ruba i bambini alle altre madri.
Essa é capace di levarsi gli occhi, affinché questi vedano anche mentre lei dorme.  Ed é capace di trasformarsi in qualsiasi figura. Quando peró la si riesce a catturare, i bambini rapiti si possono riprendere vivi dalla pancia di Lamia.
Cosi si raccontava ai bambini una storia titanica simile a quella di Kronos.  Anche Lamia aveva una torre, come Kronos. Non si puó sapere, se era veramente una Dea, oppure un Dio o l'uno e l'altra nello stesso tempo. II poeta comico che ha conservato,  ma anche falsato e preso in giro tanti racconti antichi, Aristofane, parla di membri del corpo tutt'altro che femminili di Lamia: come del resto anche la Gorgo porta spesso sul corpo un phallos appeso. D'altra parte era nota anche la sua lascivia da meretrice, e non mancavano etére che si chiamassero, appunto, Lamia. Alla figura trimorfa di Hekate e a quella ibrida di Skylla fa pensare la sua capacità di trasformarsi: questa capacità, Lamia l'aveva in comune con le divinità del mare e con un'altra figura terrificante di cui occorre dire ancora qualche parola. Empusa vien ricordata come un altro nome per Hekate, ma figura anche indipendentemente. Di Lamie e di Empuse si parlava anche in plurale e in questo caso non c'era differenza tra di loro. Quando ci si imbatteva in Empusa - per esempio all'ingresso degli inferi, come avviene in una commedia di Aristofane, - questa si mostrava ora come vacca, ora come mula, ora come una bella donna e ora come una cagna. Tutto il suo volto era luminoso come il fuoco. Uno dei suoi piedi era di bronzo - ció che é evidentemente un'esagerazione dei poeti comici. Di simile si conosce solo il sandalo di bronzo che Hekate piú tardi portava, quale Tartarouchos, « padrona del Tartaro » L'altro piede di Empusa era cosí sporco di sterco di mulo, che non sembrava piú un piede di mulo, ma addirittura un piede fatto di sterco di mulo.  Ció peró ci porta dal campo della mitologia in quello della mera burla.

  Le piú anziane figlie di Tethys e di Okeanos

Siano elencati ora i nomi delle figlie piú anziane di Tethys e di Okeanos, come li ha raggruppati Esiodo.
Oltre alla piú potente, Styx, che ho già menzionata, esse erano quaranta.
Esiodo ha inserito in questo gruppo anche nomi che appartengono a grandi dee conosciute,
come Perseis, « figlia di Perses », a Hekate o Urania ad Aphrodite. Altri nomi invece spettano
a qualche sposa di Zeus, come Dione ed Eurynome, delle quali solo quest'ultima é rimasta una
Dea del mare, paragonabile a Tethys o a Thetis.  Con ció Esiodo giustifica in certo qual modo quel racconto sulle origini del mondo, secondo il quale non solo le divinità marine o fluviali discendevano da Okeanos e Tethys. Delle altre Okeanine solo nove hanno a che fare con I'acqua, con il vento e le onde, con la mobilità e la rapidità di queste, con gli scogli o con le navi. Nei nomi di Kalliroe e di Amphiro si cela il fluire, Plexaura e Galaxaura alludono al vento sferzante e alla bonaccia, Thoe ed Okyroe alla rapidità e alla mobilità, Petraia fa pensare agli scogli, Kalypso ai nascondigli delle grotte, Prymno alla poppa della nave.  Degli altri nomi i seguenti si riferiscono ai doni e alla ricchezza (doron e plutos) che possono essere anche quelli del mare : Doris, Eudora, Polydora, Pluto. La portatrice del primo nome era considerata come madre della generazione piú giovane delle dee marine, figlie di quel Nereus di cui si discorrerà in una volta con gli altri "vecchi del mare".  Ma ancora non é stata ricordata la maggior parte, e la parte piú enigmatica, dei nomi delle figlie di Tethys.  Questi sono: Peitho, Admete, Ianthe, Elektra, Hippo, Klymene, Rhodeia, Zeuxo, Klytia;
Idyia, Pasithoe, Melobosis, Kerkeis, Ianeira, Akaste, Xanthe, Menestho, Telesto - colei dalla veste color zafferano - e Chryseis, Asia e Tyche.
Molte cose si potrebbero supporre delle dee che si celano dietro questi nomi, ma basti  rilevare i momenti piú evidenti. Peitho, la dea "Persuasione" non era, probabilmente, che un nome della dea dell'amore, e per questo si é associata ad Aphrodite.
Admete, invece, era, come Artemis, "Indomita".  Hippo e Zeuxo avevano a che vedere con cavalli e carri.
Idyia era una che "sapeva", Xanthe era una dea bionda, Telesto una dea delle iniziazioni nei misteri e Tyche, la dea "come capita, la "fortuna", una divinità priva di una storia propria, ma dotata di un potere che - non differentemente da quello delle Moire e della trimorfa Hekate - risultava piú forte del regno di Zeus.



   I "Vecchi del Mare" o Phorkys, Proteus, Nereus

Nel caso di racconti come quelli su Eurybia, Styx, Hekate o su Skylla, Lamia, Empusa, non
si puó mai sapere, se tutti questi nomi non si riferiscano ad un'unica Dea, a una
"Dea forte", la cui sfera di potenza abbraccia il cielo, la terra e il mare, e perfino gli inferi.
Ugualmente si é in dubbio, se Tethvs, Thetis, Eurynome non siano forme d'apparizione di,
quest'unica dea, e precisamente le sue forme d'apparizione connesse con il mare, nominate
in tre modi, secondo i tempi e i luoghi.  Simile é la situazione nel caso di tre divinità maschili, Phorkys, Proteus e Nereus,  definiti da Omero con l'espressione halios geron, il "vecchio del mare".
I lettori dei libri sacri di Orfeo conoscevano un racconto, secondo cui Phorkys, Kronos e Rhea sarebbero stati i primi figli di Okeanos e di Tethys, i quali, a loro volta, discendevano dalla Terra e dal Cielo, oppure, come già si sa, dalla metà inferiore e da quella superiore dell'Uovo Primordiale. Secondo un altro racconto contenuto in quei libri, vi erano sette Titanesse e sette Titani, figli di Gaia e di Uranos. Oltre a quelli che
sono già stati rammentati, questo racconto nominava anche la bella Dione tra le Titanesse e Phorkys tra i Titani. A questo ultimo veniva conferito l'epiteto krataios, il "forte".
Secondo Esiodo invece  Phorkys era figlio di Gaia e di Pontos. Sua sorella, per non ricordare di nuovo i suoi altri fratelli, si chiamava Eurybia. Sua sposa era Keto, dal bel viso, il cui nome non é che la forma femminile della parola ketos, "mostro marino".
Questa parola puó applicarsi anche al " Vecchio del Mare" stesso, quando per esempio costúi lotta con Herakles e si trasforma nelle figure piú varie. Tale arte di trasformista viene attribuita certo piú a Proteus ed a Nereus che non a Phorkys, e la lotta con Herakles unicamente a quest'ultimo. Ma si tratta, in fondo, sempre dello stesso "Vecchio del Mare". Phorkys - detto anche Phorkos - era in certo qual modo il piú vecchio tra tutti, il corego di tutte le divinità marine. E doveva ben essere un Dio astuto e pratico nelle arti magiche, se é riuscito a risuscitare sua figlia Skylla, come é stato raccontato piú sopra!
Proteus é il nome piú chiaro del "Vecchio del Mare" : é una forma di nome arcaica per la
stessa cosa che veniva chiamata anche "Protogonos", "l'essere nato per primo".
Non vien fatta menzione di suoi genitori, solo delle acque in cui si puó incontrarlo. Egli frequentava un'isola sabbiosa di fronte all'Egitto, nota sotto il nome di Pharos, mentre Phorkys si tratteneva piuttosto in occidente, in un golfo di Itaca o, ancora piú verso ovest, nella regione dove dimorava anche sua figlia, Skylla.
Si sente il seguente racconto, nella maniera delle favole dei navigatori, della cui riproduzione tanto si compiace Omero nell'Odissea: Proteus aveva una figlia, di nome Eidothea. E questa lo tradí. 
In queste parti gira un vecchio marino che dice la verità "- disse questa dea all'eroe Menelao -" il vecchio marino dell'Egitto, l'immortale Proteus.
Egli conosce le profondità di tutto il mare e non é sottomésso che al solo Poseidon. Dicono che sia mio padre.
Se tu potessi stare qui all'agguato e catturarlo, egli ti direbbe la strada e il numero dei giorni di viaggio fino al tuo ritorno in patria, attraverso il mare di pesci. E se tu vuoi, egli ti dirà anche tutto ció che, di bene o di male, é avvenuto in casa tua durante la tua assenza e il lungo, faticoso viaggio".
Rispose Menelao : "Dimmi, dunque, come devo spiare il dívino vecchio, in modo che egli non mi scorga o, sapendo in anticipo, non mi sfugga in qualche altro modo. Poiché per un mortale é pur sempre difficile dominare un Dio".  Rispose la dea : "Ora te lo diró, straniero, con tutta precisione.
Quando il sole sta sul meriggio, esce dal mare il vecchio marino, il vegliardo che dice
la verità. Viene con il vento dell'ovest, con l'incresparsi delle scure onde.
Quando é già fuori dell'acqua, si mette sotto gli scogli incavati. E intorno a lui dormono le foche, nidiata della bella dea del mare, per greggi, come emergono dall'acqua bianco-grigia.
Esse sanno ancora dell'odore amarognolo delle acque profonde. Ti condurro là di buon mattino e vi nasconderó nello sfondo. Tu devi scegliere soltanto tre dei tuoi compagni, quelli piú adatti allo scopo.
Ora t'informo delle pericolose arti del vecchio. Come prima cosa, egli conta le foche, cinque per cinque. Dopo si sdraia in mezzo a loro, come un pastore in mezzo alle sue greggi. Non appena vedrete che egli si é addormentato, ricorrete alla violenza e alla forza. Tenetelo fermo, per quanto cerchi di sfuggirvi. Poiché lo tenterà. Assumerà le forme di quanti animali esistano sulla terra. Si trasformerà perfino in acqua e in fuoco.
Ma voi tenetelo saldamente, stringete ancor di piú i suoi vincoli. Solo quando egli comincerà a pregarvi, nella stessa figura in cui davanti ai vostri occhi si sarà addormentato, solo allora cessate la violenza, sciogliete il vecchio e interrogatelo...".
E cosí avvenne. Proteus prese le forme di un leone, di un serpente, di un leopardo, di un porco, poi anche si trasformó in acqua e in un albero, ma alla fine disse la verità su tutto ció che gli fu chiesto.
Simile virtuosità nelle metamorfosi viene raccontata anche da Nereus: raccontate dai nostri antichi artisti, scultori, vasai ed orefici. Essi crearono le figure di uomini con corpo di pesce in tempi molto piú antichi di quelli in cui appaiono le figure femminili formate in modo analogo, fatto che fa pensare che il potere delle grandi dee del mare non si limitasse unicamente all'elemento umido, mentre il "Vecchio del Mare" fosse piú strettamente unito alle profondità. Vi sono immagini in cui dal suo corpo di pesce si vedono spuntare anche le
teste di un leone, un caprone e un serpente. In questi animali si trasformó Nereus, lottando con Herakles che, dietro consiglio delle dee del fato, lo voleva legare ed interrogare.
Ció avvenne molto prima dell'avventura di Menelao con Proteus, prima anche del combattimento di Herakles con Tritone che nella nostra mitologia appartiene ad una generazione piú giovane di divinità marine. Lo si rivedrà come figlio di Poseidon e di Amphitrite.
Ma il  "Vecchio , del Mare o assisté anche a quel combattimento, nel suo aspetto trimorfo, come lo si vede in uno Dei piú antichi frontoni di tempio sull'Acropoli di Atene, anche se molti, erroneamente, lo chiamano, lí, "Typhon".
Egli - sotto un nome o un altro - regnava sui nostri mari prima di Poseidon, e si distingueva, per la sua saggezza e veracità, dal sovrano ancora piú antico del mare, Briareos, che aveva cento braccia. Come ci diceva Esiodo: "Nereus che mai mentisce", ma dice sempre la verità, fu generato, come primo figlio, da Pontos. È perció che lo si chiama : il Vecchio; perché é verace e benigno. "Mai egli devia dal giusto, ma tende sempre verso la giustizia e la bontà". 
Egli era padre di cinquanta figlie, partorite a lui dall'Ukeanina Doris: sono dee del mare, di cui piú tardi rammenteró i nomi.

  

  Le "Dee Vecchie" o (Graiai)

Al vecchio del mare, Phorkys, la nostra mitologia attribuisce tra l'altro anche figlie canute. Esiodo racconta:
" A Phorkys partorí Keto le Graiai, dai bellissimi volti, che vennero al mondo con i capelli bianchi; perció si chiamano, presso gli dèi e gli uomini, Graiai".  Graia significa, infatti, nella nostra lingua, una vecchia donna.
Affinché queste vecchie nan vengano confuse con altre dee vecchie, sono chiamate, con piú precisione, le Graiai di Phorkys o di Phorkos, le Phorkidi o, in autori piú recenti:
le Phorkyadi. Questo nome, mentre è comune a loro e alle loro sorelle, le Gorgoni, d'altra parte le distingue dalle Moire che sono ugualmente Dee vecchie. Se tuttavia non ci sia, tra Graie e Moire, qualche affinità del tutto particolare, è una questione che noi, figli di una tarda età, non possiamo risolvere.
Esiodo nomina solo due Graie : Pemphredo, dalla bella veste, ed Enyo, dalla veste color zafferano.
Egli rileva anche il loro bell'aspetto, malgrado i capelli canuti. Enyo è un nome guerriero che sarebbe adatto a una dea delle battaglie. Pemphredon è il nome, da noi, di una specie di vespe. Dee profetiche - tali da poter venir ritenute identiche alle Moire appaiono nell'inno omerico a Hermes, come se fossero api.
Per la terza Graia - poiché secondo altri racconti esse erano in tre - ci vengono tramandati due nomi : Deino, la  "Terribile", oppure Perso, il quale ultimo non è che un'altra forma per Persis o Perseis, nome che designava Hekate con riguardo a suo padre. Si diceva inoltre che le Graie fossero vecchie fanciulle simili ai cigni. E si raccontava che avevano un solo occhio in comune e un unico dente in comune.
Dove esse dimoravano, non si vedeva il sole, né la Luna: era una grotta presso l'ingresso al paese delle Gorgoni, al di là dell'Okeanos e si chiamava Kisthene, "paese del cisto".
Dal racconto in cui si parla dell'unico occhio e dell'unico dente, si viene a sapere ancora che le Graie erano custodi severe della via che conduceva alle Gorgoni.  Ma esse, come le Moire, sapevano anche rivelare la strada e i mezzi che portavano allo scopo. Perseus rubó loro l'occhio nel momento in cui una delle Graie lo stava consegnando all'altra, di modo che nessuna delle sorelle poteva vedere. Cosí l'eroe le costrinse a rivelare la strada a quei mezzi per vincere la Gorgo Medusa.
Questa è proprio quella storia che, tra tutte le leggende eroiche, è piú legata alla mitologia, e di cui tra poco dovró narrare ancora qualche particolare.

 
   Le Erinni o Eumenidi

Il terzo gruppo delle dee vecchie - oltre alle Moirai e alle Graiai - è quello delle Erinyes.
Queste sono divinità antiche, piú antiche di quelle che sono arrivate al potere con Zeus.
Lo dicono loro stesse quando appaiono sul palcoscenico, come accade in quella tragedia di Eschilo che ha per titolo il loro altro nome, Eumenides. Esse sono vecchie - graiai - ma non hanno i capelli bianchi : i loro capelli sono serpenti. Il colore della loro pelle è nera, le loro vesti sono grigie.
Esse si chiamavano anche Maniai, "furie", e, quando perseguitavano Orestes per il suo matricidio, prima gli si mostravano nere, quando peró il perseguitato, in un accesso di furore, si strappó un dito con i denti, divennero bianche.
Nella regione in cui questa storia veniva raccontata, nei pressi di Megalopolis in Arcadia, si sacrificava insieme alle Eumenidi e alle Chariti. Le Erinni portavano il nome Eumenides nel senso di Dee "benevole" - o perché esse sono veramente diventate benevole, o solo perché la gente desiderava che lo diventassero.
Quando si precisa il loro numero, esse appaiono in tre.
Ma puó succedere, come nel caso delle Moire, di cui esse sono alleate e quasi doppioni, che venga invocata una sola per tutte, un'unica Erinys. La parola, di per sé, significa uno spirito di ira e di vendetta.
Ricordiamo come la Terra madre, Gaia, ha partorito le Erinni, queste "forti", fecondata dallegocce di sangue dello sposo punito, il mutilato Uranos, la cui mutilazione, a sua volta, ha provocato nuove punizioni e vendetta. Cosí raccontó Esiodo.
Altri raccontavano diversamente. Le Erinni erano figlie della Notte, o, nel caso che fossero già concepite come figlie della Terra, avevano per padre Skotos, l'oscurità.
A Epimenides, il saggio di Creta, risultava che Kronos avesse anche Aphrodite, le Moirai, e le Erinyes come figlie. Vien detto inoltre che il nome della madre delle Erinni fosse Euonyme e che questo nome alludesse alla Terra. Piú probabile é che la forma giusta di questo nome fosse Eurynome. Eurynome, del resto, si chiama la madre delle Chariti, delle quali si é appena sentito che ricevevano una sacrificio comune con le Eumenidi in Arcadia. Quale padre delle Erinni viene nominato anche Phorkys: marito adatto ad Eurynome,
come ció apparirà dalla storia di questa dea. Per i fedeli di Orfeo i genitori delle Erinni erano Hades o lo Zeus infero e Persephone.
Non sempre le Erinni erano alate. Ma anche senza ali, esse ricordavano gli spiriti rapitori femminili, le Harpyiai. Il loro alito e la loro traspirazione erano insopportabíli.
Dai loro occhi colava una bava velenosa. La loro voce spesso somigliava al muggito dei buoi.
Me per lo piú esse si avvicinavano abbaiando, perché, non meno di Hekate, anch'esse erano cagne. Le loro fruste erano cinghie guarnite di ferro.
Esse portavano fiaccole e tenevano serpenti. Sotto terra, negli inferi, era la loro dimora.
L'una di loro si chiamava Allekto, "l'Incessante".
L'altra, Tisiphone, aveva nel suo nome la tisis, la cc rappresaglia o, mentre la terza, Megaira, l'ira invidiosa. Erano vergini tutt'e tre, ma rappresentavano tuttavia la causa della madre adirata. Apparivano, dovunque una madre fosse stata offesa o addirittura uccisa.
Come cagne veloci inseguivano tutti coloro che avevano trascurato la consanguineità e l'ordinamento gerarchico basato su questa. Difendevano dunque anche i diritti del padre e del fratello maggiore. Ma ponevano al di sopra di tutto le pretese della madre, anche quando non erano pretese sanzionate dalla legge.
Tutto ció appare nella storia di Orestes, portata in scena da Eschilo. Per ordine di Apollo,  Oreste uccise la madre, l'adultera Klytaimnestra, assassina del marito, per vendicare suo padre.
Perció egli venne perseguitata dalle Erinni.
E questi spiriti di vendetta della madre sarebbero risultati piú forti di tutto il nuovo mondo degli déi fondato da Zeus, se la figlia del padre, Pallas Athene, non si fosse schierata al fianco dei figli di Oreste e del proprio fratello Apollo.  Cosí l'eroe fu salvato e purificato.
Ma la venerazione delle "vecchie dee", le Eumenidi, rimase in vigore, non meno di quella delle Moire.

Medusa

Medusa

  Le Gorgoni Sthenno, Euryale e Medusa

Dopo il terzo gruppo delle Dee vecchie devono seguire quelle figlie di Phorkys che Esiodo
menziona immediatamente dopo le Graiai: le Gorgoni (nella nostra lingua: Gorgones o Gorgus,
plurale di Gorgo). Esse non vanno paragonate a donne vecchie, ma piuttosto a maschere.
Dovevano essere come quelle maschere che si appendevano per Hekate e rappresentavano questa Dea.
Quando si voleva arrivare fino alle Gorgoni, si aveva bisogno dell'aiuto delle loro sorelle, le Graie.
Poiché esse abitavano ancora piú lontano di queste, - racconta Esiodo, nella direzione della
Notte, al di là dell'Okeanos, vicino alle Esperidi dalla chiara voce.
Erano in tre. Una delle Gorgoni si chiamava Sthenno o Stheno - un nome connesso con la
parola sthenos, "forte". La seconda si chiamava Euryale, e, secondo il suo nome, apparteneva
al vasto mare (curys e hals).
La terza, Medusa, poteva, con questo nome, ugualmente appartenere al mare: medusa é la
"sovrana"  -e quanto spesso proprio il "sovrano del mare" (halos medon, pontomedon,
eurymedon), che si chiamasse del resto Phorkys o Poseidon, non veniva invocato con la
forma maschile del nome Medusa!
-- Gorgides o Gorgades erano nomi adatti a dee del mare. E non si puó credere che Gorgo
significasse esclusivamente qualcosa di brutto e orribile, anche perché questo nome
veniva dato pure a bambine, dalle quali i genitori certamente non si aspettavano che
diventassero maschere repellenti.
Tra le tre sorelle, Medusa era quella mortale. Le altre due erano immortali e ignare
della vecchiaia, come tutte le dee. Accanto alla mortale si posó Poseidon, il dio dai
capelli scuri, nella tenera erba e tra i fiori della primavera.
Questo racconto porta Medusa nella piú stretta vicinanza a Persephone.
Anche questa, la regina degli inferi, fu rapita tra i fiori della primavera da un dio
oscuro, e pervenne, come se fosse una mortale, tra i morti. È lei che manda incontro
la testa della Gorgone, "dell'orribile figura gigantesca", a coloro che vogliono
penetrare, fino a raggiungerla, negli inferi. In questo si mostra quasi un altro volto
della bella Persephone.
Ed é proprio questo il fatto piú curioso intorno a Medusa: sebbene anche lei, come sua
madre, il mostro marino Keto, fosse "di bel volto", tuttavia, insieme con le sorelle,
era simile anche alle Erinni. Le Gorgoni avevano ali d'oro, e mani di bronzo.
Avevano zanne potenti, come i cinghiàli, e serpenti intorno alla testa e, a guisa di
cintura, intorno alla vita. Chiunque scorgesse 1'orribile volto della Gorgona, rimaneva
senza fiato e si trasformava, sul posto, in pietra.
In che modo si era reso possibile che la testa della Gorgone apparisse anche isolata
- secondo una variazione come mezzo di auto-protezione di Persephone negli inferi,
secondo un'altra, documentata da numerose raffigurazioni, sul petto di Pallas Athene,
- veniva raccontato nella storia di Perseus. Sua madre diede a quest'eroe il nome
Eurymedon, come se egli dovesse essere anche un cc sovrano del mare o e sposo della Medusa,
non soltanto il suo uccisore. Protettrice e guida di Perseo, nella sua impresa di
guadagnarsi la testa della Medusa, fu soprattutto Athene.
Questa gli insegnó di procedere contro la Gorgone in modo da non dover vederne il volto,
ma solo il suo riflesso nella liscia superficie dello scudo.
Un simile procedimento si adottava in certi riti d'iniziazione dei nostri giovani che
dovevano guardare una maschera riflessa in un recipiente d'argento.
In modo simile doveva guardare Perseo la testa della Gorgone, senza vederla in faccia.
Egli recise la testa con una falce che aveva avuta in regalo da Athene o, secondo altri,
da Hermes o da Hephaistos.
Dal collo della Medusa balzó fuori il cavallo alato, Pegasos di cui parla la storia
dell'eroe Bellerophon. Ma non solo il cavallo. Insieme con questo e nella stessa maniera
nacque anche Chysaor, l'eroe il cui nome significa "colui che ha la spada d'oro".
La testa della Gorgone, simile a una maschera, restava anche dopo in possesso di Athene,
come ornamento del suo scudo o della sua corazza fatta dalla sacra pelle di capra e
chiamata aigis.
Si pensava pure che quella, originariamente, fosse stata della Gorgone, figlia di Gaia,
cui Athene avesse strappato la pelle di capra.
La dea Artemis e certo anche la Demeter adirata - detta Demeter Erinys portavano quel volto
mortifero-terribile sul collo, come loro volto proprio.
I fedeli del cantore Orfeo peró adoperavano la parola Gorgoneion per indicare il volto che
 si scorge nella luna.

Echidna

Echidna


  Echidna, il serpente delle Esperidi e le Esperidi

Già nella storia di Typhoeus, Typhaon o Typhon si é parlato di una dragonessa, di una Dea
serpentiforme che nell'Asia Minore e anche in Delfi si chiamava Delphyne.
Essa somigliava dunque, secondo il suo nome a un delfino, animale marino provvisto di un
utero (questo si esprime nella sillaba delph-).
Ma nella nostra mitologia non é facile distinguere se un Dio o Dea della grande famiglia di
Phorkys, Proteus, Nereus o delle corrispondenti divinità del suolo, come il già nominato Typhon,
l'ateniese Kekrops, il Kychreus di Salamina, se dunque una divinità di questa specie
dalle anche in giú somigli a un serpente, a un delfino o a un pesce.
Esiodo ci raccontava di una dea, di nome Echidna, "serpente", figlia di Phorkys e di Keto.
Piú tardi viene menzionato un altro serpente, figlio degli stessi genitori e custode
dei pomi delle Esperidi : e con lui si chiude, in Esiodo, la serie dei figli di Phorkys.
Ma si ascolti prima il suo racconto sulla dea.
Era nata in una grotta, la divina Echidna, dotata di temperamento maschile e di una
figura gigantesca che non somigliava né agli uomini mortali né agli immortali Déi.
Per metà essa era una giovane donna con bellissimo viso e splendidi occhi, per metà
invece un orribile serpente gigante mobilissimo che inghiottiva tutto in stato crudo
nelle cavità della divina terra. La sua grotta si trovava sotto una roccia, lontano dagli
déi e dagli uomini; cosí le era stata assegnata la dimora dagli immortali.
Il luogo si chiamava Arima che Omero definisce come "camera da letto di Typhoeus", sposo
di Echidna, cui questa partorí tutt'una serie di mostri. Prima di enumeràre questi,
sia aggiunto come i nostri antichi pittori di vasi hanno raffigurato un simile essere:
come una bella dea alata, con corpo di serpente dalle anche in giú. Senza ali, ma con
corpi di serpente tanto piú potenti, simili dee o ninfe intraprendono, in una bella
pittura vascolare antica, un'azione di culto, raggruppate in coppie, sotto tralci di vite,
mentre all'altro lato della pittura si vedono capre in atto di divorar le viti.
Dee o ninfe e almeno un serpente, il fratello di Echidna, ricorrono anche riel racconto sul
giardino delle Esperidi. Ma la storia di Echidna non é ancora finita.
I suoi figli, secondo Esiodo, erano soprattutto i cani piú terribili della nostra mitologia:
il cane degli inferi con tre o addirittura cinquanta teste, Kerberos, e Orthos o Orthros,
il cane del tricefalo Geryoneus, figlio di Chrysaor. Orthos aveva due teste, piú ancora
sette teste di serpente o almeno una coda di serpente, la quale ultima non manca
neanche a Kerberos. Herakles ha eliminato Orthos, quando ha ucciso Geryoneus, portando via
i suoi armenti.
Questo cane aveva generato con la propria madre, Echidna, la Phix o Sphinx,
un mostro alato per metà fanciulla per metà leonessa, di cui si sentirà parlare nella
storia di Oidipus, e il leone di Nemea che venne ucciso ugualmente da Herakles.
Da Typhaon, Echidna partorí inoltre la Hydra di Lerna, un serpente acquatico provvisto
di numerose teste, al cui posto, quando venivano tagliate, crescevano sempre delle teste
nuove. 

Heracle e Hydra di Lerna

Heracle e l'Hydra

La Hydra viene spesso raffigurata in forma molto simile a quella della madre.
Da Echidna é nata anche la Chimaira, il mostro che vomita fuoco e che, nel suo corpo
ibrido, unisce le forme di un leone, di una capra e di un serpente.
Questa é stata vinta da Bellerophon.
Si raccontava che Echidna stessa avesse fatto la fine della maggior parte dei suoi figli:
Argos che aveva l'intero corpo cosparso di occhi, l'avrebbe uccisa nel sonno, sebbene
Esiodo affermi esplicitamente che essa sia una ninfa imniortale ed eternamente giovane.
Diversi racconti riguardano anche il fratello di Echidna, il serpente Ladon, e le Esperidi.
Ladon, che porta lo stesso nome di un fiume in Arcadia, viene definito piú spesso come
serpente (ophis) che non come dragone (drakon). Si sente dire - come anche nel caso di sua
sorella, Echidna - che sua madre sia stata, in realtà, Gaia.
Oppure Echidna era sua madre e non sua sorella, e in questo caso il padre era Typhon.
Ladon aveva l'incarico di custodire l'albero che portava i pomi aurei.
Egli si tratteneva nelle cavità della nera Terra, oppure nella Notte che si estende
dall'Occidente al di là dell'Okeanos e in cui abitano anche le Esperidi, custodi anch'esse
di quell'albero. O le Esperidi erano ladre che non si trattenevano dal gustare i pomi aurei,
e forse per questo doveva attorcigliarsi intorno all'albero il serpente.
Il racconto segue ora questa ora quell'altra versione, come pure i pittori dei vasi.
Le origini stesse si vedono una volta sotto l'altro dalle mele d'oro.
Secondo un racconto sulle nozze di Zeus e Hera che piú tardi dovró narrare per esteso,
la madre Terra avrebbe fatto spuntare quell'albero prodigioso in regalo alla sposa.
Hera stessa avrebbe provveduto al custod. Secondo un altro racconto i pomi sarebbero
appartenuti piuttosto ad Aphrodite che anche presso di noi, mortali, aveva i suoi
giardini sacri. Ad ogni modo, al giardino delle Esperidi apparteneva un serpente, quel
Ladon, della cui capacità di emettere diversi suoni, i racconti non si dimenticano di
parlare, come non si dimenticano di ricordare la chiara voce e il canto delle Esperidi
stesse.
Si lascino ora stare le questioni, da quante gole Ladon emetteva quei suoni e se questi
suoni erano simili a quelli già ricordati del Typhon. Per lo piú, al serpente delle
Esperidi vengono attribuite due teste, a volte peró tre e in un caso addirittura cento.
Contro i racconti secondo cui Herakles avrebbe abbattuto Ladon, stanno altri, secondo i
quali l'eroe - o, per lui, il gigantesco Atlas che in occidente regge la volta celeste
- avrebbe ottenuto i pomi in via pacifica: dal serpente, dalle Esperidi o per mezzo
delle Esperidi - sempre secondo come al narratore piaceva.
Le Esperidi erano considerate come figlie della Notte; oppure come figlie di Phorkys e
di Keto; oppure come figlie di Atlas - per non parlare di quella confusione che vedeva
in loro le figlie di Zeus e di Themis: una confusione con le Horai. Con nomi si nominano,
al solito, tre o quattro di loro, e sembra anche che questo sia stato il loro numero,
tre o quattro, benché nelle raffigurazioni esse appaiono spesso piú numerose.
Nei loro nomi regna una grande libertà. Il loro nome comune, Hesperides, le mette in
relazione con Hesperos, la stella vespertina, stella di Aphrodite.
Un padre di questo nome veniva loro effettivamente attribuito ed era superfluo, giacché le
Esperidi stesse, non meno di Hesperos, erano nel loro nome direttamente collegate con
la sera, con il tramonto del Sole, con l'ingresso nella Notte : in una Notte, s'intende,
che cela in sé frutti d'oro.
Una di loro si chiamava addirittura Hespera o Hesperia, la "serale", la seconda Aigle, 
"la luminosa", la terza Erytheia o Erytheis, "la rossastra" e, come quarta, si aggiungeva
Arethusa che, al di fuori di questa connessione, figurava come dea di una sorgente.
Un altro bel gruppo di quattro nomi di Esperidi é il seguente: Lipara,
"la liscia lucentezza", Chrysothemis, "l'ordinamento aureo", Asterope, "il folgorío",
Hygieia, "la salute".
Medusa, il nome di una Gorgone, ricorre anche come nome di un'Esperide, e Mapsaura
significa una dea che travolge come un "colpo di vento", un'Esperide in funzione di Harpyia.
Non soltanto il saggio Epimenide ha identificato le Esperidi con le Harpyiai.
Non bisogna dimenticare la chiara voce che, nelle Esperidi, ricorda soprattutto le Sirene.
Ma i racconti sulle Sirene e sulle Arpie devono esser ricordati in una connessione a parte,
date la particolare forma e le particolari funzioni di queste dee.
Piú strettamente sono connessi tra di loro Echidna, Ladon e le Esperidi.
E a questo gruppo appartengono anche le menzionate ninfe-serpenti sotto i tralci di vite.
Una di loro suona su un flauto doppio. Quando i nostri antenati sentivano, all'ora del
tramonto o durante la notte, un suono di flauti, sapevano che quel suono spesso significava
un invito a riti o iniziazioni segreti. Ma i misteri di quei riti e iniziazioni potevano
anche farli rabbrividire.

Ercole ed Acheolos

Heracle ed Acheloos


  Acheloos e le Sirene

Chiunque voglia raccontare delle Sirene, deve ricordare anche Acheloos, il piú importante
delle nostre divinità fluviali, che, accanto a Phorkys, viene considerato come padre delle
Sirene.
Esiodo  rammenta Acheloo, dai vortici argentei, tra i figli di Tethys e di Okeanos,
tra le divinità fluviali, ma non al primo posto. Omero, per contro, lo mette, una volta,
perfino davanti allo stesso Okeanos,"origine di tutte le cose".
Mare e fiumi, sorgenti e fontane potevano scaturire anche da Acheloo.
Quando Okeanos viene raffigurato come uomo barbuto con corna di toro, ció avviene su
modello di Acheloo. Se no, dalla testa potentemente coperta di capelli del padre Okeanos
- in ultimo, dalla sua maschera che mostra un volto plasmato da profonda e melanconica
serietà - spuntano, invece, branche e antenne di granchio. Le corna di toro avevano una
parte particolare nei racconti su Acheloo. Herakles ha lottato anche contro questo dio
acquatico, non solo contro il "Vecchio del Mare" e contro Tritone. Come questi, anche
Acheloo aveva, come parte inferiore del suo corpo, un pesce serpentiforme.
Ma a lui Herakles staccó un corno. Dalle gocce di sangue cadute dalla ferita nacquero le
Sirene: nascita simile a quella delle Erinni.
Nella nostra vecchia lingua esse si chiamavano Seirenes.
Nella sua forma maschile, questa parola significava una specie di vespe o api, caso
analogo a quello di Pemphredo, una delle Graie. I nostri antichi artisti o vasai
raffiguravano anche Sireni maschili, con la barba. Che in questi casi si trattasse di
un Sireno o di una Sirena e non di un altro qualsiasi essere ibrido, risulta dalla
prevalenza delle forme uccellesche.
A queste viene aggiunta una testa umana e spesso anche mammelle di donna e braccia.
Gli artigli ai piedi sono a volte fortissimi e ricordano le grinfie di un leone, quasi
volessero alludere a un'affinità tra Sirene e Sfinge.
Il corpo inferiore puó esser modellato anche a forma di uovo.
Non si puó non pensare alle Graie, cc vergini simili a cigni o, o alla Medusa, quando
un uccello provvisto di un volto di Gorgone e di due paia d'ali afFerra con ciascuna
mano un giovane che si dimena, per rapirli. Certo, un essere rapitore é piuttosto una
Harpyia, detta cosí appunto per questa sua funzione, mentre le Sirene hanno per loro
caratteristiche principali, oltre alla forma di uccelli, quell'arte che le avvicina alle Muse.
Esse portano la lira o suonano il doppio flauto, oppure, quando sono raffigurate in
coppie, l'una si serve dell'uno, l'altra dell'altro strumento musicale.
E con tale accompagnamento, esse cantano anche. Cosí risulta dai racconti, dai loro nomi
e dalle raffigurazioni. Non si poteva ammirarle abbastanza nei monumenti funerari del
nostro periodo classico. L'arte funeraria non le aveva prese dal favoleggiamento dei
nostri navigatori, ma da storie antiche che da allora sono cadute in oblío.
Naturalmente anche le Sirene, come la grande dea Skylla, sono entrate nelle favole dei
navigatori. Omero fa parlare di loro il grande mentitore, Ulisse. Egli rammenta due Sirene.
Nessun nome viene pronunciato, ma in un antico dipinto vascolare si puó leggere il nome
Himeropa, "colei che con la sua voce suscita il desiderio". Piú tardi si facevano i nomi
di due triadi di Sirene. La tradizione sui singoli nomi é, anche in questo caso, divergente:
Thelxiepeia, Thelxinoe o Thelxiope é "l'incantatrice", poiché thelgein significa "incantare";
Aglaope, Aglaophonos o Aglaopheme é "colei che ha la voce splendida";
Peisinoe o Pasinoe puó essere la cc seduttrice o nel caso che sia giusta la prima variante.
Una seconda triade é costituita delle Sirene venerate nella Magna Grecia, sulla costa
tirrenica meridionale dell'Italia : Parthenope, "la verginale" di Neapolis, la Napoli
odierna, Leukosia, "la dea bianca" e Ligeia, "colei che ha la voce chiara", a sud di Napoli.
Quali madri delle Sirene, che le avrebbero partorite ad Acheloos, vengono nominate Sterope
con un significato analogo a quello del nome dell'Esperide Asterope, oppure una Musa.
Ma racconti piú antichi conoscevano un'altra madre.
E conoscevano anche una relazione piú stretta con Persephone.
Si narrava che le Sirene fossero state le compagne della regina degli inferi.
Si cantava di loro che fossero figlie della Chthon, delle  "profondità della terra" e che
le mandasse Persephone. Nella raffigurazione di un antichissimo vaso si vedono due Sirene a
cantare davanti a una grande dea seduta su un trono, rivolte verso la nave di Ulisse
assalita da due grossi uccelli.
Il compito delle Sirene era di ricevere coloro che arrivavano presso la grande regina degli
inferi e di introdurli presso di lei con i dolci suoni della loro musica e del loro canto.
E precisamente non solo i navigatori sfortunati, ma tutti coloro che dovevano entrare
nel regno dei morti.
Con la loro arte esse mitigavano e trasformavano I'amarezza della morte.
Dai Sireni maschi di certe raffigurazioni arcaiche forse la morte delle donne doveva
esser raddolcita.
Ulisse racconta la storia delle Sirene nel modo seguente.
Kirke l'aveva ammonito di evitare il canto e i fioriti prati delle Sirene incantatrici.
Se tuttavia evitarli non fosse stato possibile, lui doveva essere il solo a sentire le
chiare voci, avendo peró prima otturato con la cera le orecchie dei suoi compagni ed
essendosi fatto legare all'albero della nave. Le Sirene stavano sul loro prato.
Questo appariva fiorito, ma - e a questo punto il racconto passa in una storia
raccapricciante inventata certamente dai navigatori - era pieno di ossa umane putrefatte
e di pelli umane dissecate. Ci vien riferito anche ció che esse cantavano a Ulisse che
stava in piedi, legato: "Vieni piú vicino, o Ulisse molto celebrato, grande gloria dei
Greci! Ferma la tua nave per sentire la nostra voce! Nessuno é ancora passato qui con la
nave nera, senza ascoltare il nostro canto. Il canto scorre dalle nostre labbra come il miele!
Chi l'abbia ascoltato, ne ricava piacere e un sapere piú alto di quello che avesse prima.
Noi sappiamo, infatti, tutto ció che Greci e Troiani hanno sofferto intorno a Troia per
volere degli déi. E sappiamo tutto ció che avviene i n qualsiasi momento e luogo sulla terra!
" Si dice che a queste parole Ulisse abbia voluto sciogliere i propri legami, ma i suoi
compagni lo abbiano legato ancora piú saldamente".
E in fondo non ci si potrebbe stupire di un simile effetto del canto: le Sirene
apparivano come dee oracolari onniscienti, quali forse effettivamente erano nei luoghi
che tributavano loro un culto.
Non di meno peró esse erano dee della morte e dell'amore, nel servizio di quella Dea
degli inferi che, nella menzionata raffigurazione antica, si vede troneggiare davanti a un
simbolo fallico.
In certo qual modo la Dea del regno dei morti é, essa stessa, morta.
Le Sirene servivano la morte e dovevano morire esse stesse - cosí dice un racconto se
una nave passava vicino senza che l'equipaggio fosse caduto in preda a loro.
Esse si uccisero, quando Ulisse e i suoi compagni si eran salvati.
Esiodo raccontava che Zeus avesse assegnato l'isola Anthemoessa, "la fiorita", come dimora
alle Sirene.
Ció di nuovo quadra con il fatto che esse erano anche dee dell'amore.
In un bassorilievo di età piú tarda si vede una Sirena che ha solo i piedi formati come
quelli di un uccello, avvicinarsi, assetata d'amore, a un uomo addormentato di tipo
satiresco, nella maniera in cui per esempio Selene avvicina Endymion. Un certo fascino
d'amore non mancava neppure alle antiche raffigurazioni ovoidali delle Sirene, dato che
queste spesso stringevano a sé uomini raffigurati in proporzioni ridotte.
Esse rendevano servizio non solo alla Dea della morte, ma anche agli uomini mortali,
portando questi - o per lo meno i loro desideri - con ali d'oro verso le regioni del cielo.



  Thaumas, Iris e le Arpie

Thaumas, il grande figlio di Pontos e di Gaia, fratello di Nereus e di Phorkys, non é
probabilmente che un ulteriore nome del " Vecchio del Mare". Perció si dice che egli sia
un figlio di Tethys. Thauma significa meraviglia e prodigio e Thaumas era un prodigio del
mare probabilmente nello stesso senso in cui lo erano i suoi fratelli or ora menzionati o
Proteus. Poco fa si é accennato alle facoltà trasformiste e agli incantesimi di questi tre.
Le figlie partorite a Thaumas dall'okeanina Elektra sono Iris, la dea di nome "Arcobaleno",
e le Harpyiai. Erano dee che avevano la funzione di intervenire negli eventi e destini dei mortali.
Iris, dotata di piedi veloci, ma anche di grandi ali, aveva la carica della messaggera.
Per dirla nella nostra lingua: essa era angelos. Aveva un culto in Hekatesnesos,
nell'isola di Hekate presso l'isola di Delo. Hekate stessa si chiamava una volta Angelos.
In questa sua qualità era considerata come figlia di Hera e di Zeus.
Si raccontava che una volta essa rubó l'unguento di bellezza di sua madre, per regalarlo
alla rivale di questa, Europa. Quando Hera volle punirla, essa si rifugió prima presso il
letto di una puerpera, poi in un corteo funebre e, infine, al lago acherusio negli inferi,
dove venne purificata dai Kabiri: avventura ben degna di Hekate.
Ma si sentirà subito che anche Iris ha visitato gli inferi.
Un'altra figura, oltre a quella dell'Angelos, in cui si cela Iris, é forse quell'Eidothea,
figlia di Proteus, il cui nome allude a un eidos, cioé a un fenomeno visibile qual'é  l'arcobaleno.
Per quale ragione Iris che secondo il suo nome era una messaggera del cielo, poteva esser
mandata dagli déi negli inferi, lo si puó sapere da Esiodo.
Lontanissimo dagli déi abita nel suo celebra palazzo, sotto rocce incavate, la Dea odiosa,
Styx.
In quelle parti, il cielo poggia su colonne d'argento.
Raramente Iris arriva fin là, attraverso l'ampio dorso del mare.
Ma quando scoppia una lite o una contesa tra gli immortali e qualcuno degli olimpici
ricorre perfino alla menzogna, Zeus manda Iris con la missione di portare da quelle
lontananze, in una coppa d'oro, il grande giuramento degli Déi, la gelida acqua dai molti
nomi, che precipita dalle alte rocce.
È l'acqua della Styx. Anche quest'acqua scaturisce, sotto la terra e nel profondo della
notte, dal corno di Okeanos. Il suo corso é diviso in dieci rami.
Nove di essi corrono tutt'intorno alla terra e al mare. Uno invece erompe dalle rocce,  a danno degli Déi.
Chi tra questi giuri il falso su quell'acqua, resta immediatamente privo di respiro per un
anno intero. Non gode più l'ambrosia e il nettare, il cibo e la bevanda degli Déi, bensí
rimane ammutolito e privo di sensi sul suo giaciglio. Dopo la fine di quell'anno gli toccano
altre e peggiori punizioni. Per nove anni egli resta escluso dal consiglio e dai banchetti
degli Déi.
Solo nel decimo anno viene riammesso alle loro riunioni.
Anche le Harpyiai o Arepyiai hanno, come Iris, piedi veloci ed ali.
Solo di rado appaiono in una forma cosí simile agli uccelli, come lo é quella delle Sirene.
Ma anche le loro dita umane sono ricurve come gli artigli, e fatte per aggredire e rapire.
Non per niente si chiamano "le rapitrici".
Quasi nello stesso significato di Harpyia si usa anche la parola thyella o aella, "la bufera".
Quando qualcuno scompariva senza tracce sul mare, come Ulisse, si diceva:
"Lo hanno rapito le Arpie".
Nel celebre caso delle figlie di Pandareos, narrato già nell'Odissea, si aggiunge ancora:
le infelici fanciulle, rapite dalla casa dei loro genitori defunti, sono state date dalle
Arpie in servizio alle Erinni. Si é già detto che Arpie ed Erinni si somigliavano tanto da
potersi confondere. Una loro affinità alla Medusa risulta dal volto di Gorgone portato da
quella Harpyia che ha quattro paia d'ali e che potrebbe esser presa anche per una Sirena.
Ma risulta anche dal fatto che secondo Omero una Harpyia -- di nome Podarge, "colei che ha i
piedi veloci"
"pascolava" sulla riva dell'Okeanos e diventó, dal vento occidentale Zephyros, madre dei
cavalli immortali di Achille, Xanthos e Balios.
Anche dal collo di Medusa balzó fuori un cavallo prodigioso e gli artisti antichi
raffiguravano lei stessa ora con il corpo ora con la testa di un cavallo.
Sembra che i nostri antenati abbiano apprezzato, in un certo momento, la velocità dei cavalli
non meno di quella dei venti o degli uccelli.
Esiodo ci lasció i nomi di due Arpie: Aello che porta anche il nome Aellopus "colei che ha i
piedi come il vento", e Okypete che vien detta anche Okythoe o Okypode,
"colei che vola veloce", "la veloce" o "colei che ha i piedi veloci".
Ma siccome nel caso delle Arpie, esattamente come in quello delle Sirene e delle Graie,
si alternano i numeri due e tre, é rimasto tramandato anche un terzo nome, Kelaino,
"l'oscura", un nome portato anche da una figlia di Atlas.
Figlie di Atlas erano le Esperidi, è tra queste si trova una Mapsaura, "il colpo di vento".
Nemici delle Arpie, e nemici vittoriosi, erano i figli alati di Boreas, il vento del nord,
Kalais e Zetes.
La loro vittoria vien narrata nella storia del cieco veggente Phineus cui le Arpie,
come grossi uccelli, hanno rapito o sporcato il cibo. In questo racconto, com'é presentato
dal poeta Apollonio di Rodi, figura anche Iris che fa notare ai Boreadi, quanto sia contro
l'ordinamento della natura - contro la Themis - inseguire con le armi i "cani del grande Zeus".
Inseguitori e inseguite tornano quindi indietro presso le isole che prima si chiamavano
Plotai, "le natanti", da allora invece si chiamano Strophades, le isole della svolta":
le Arpie raggiungono le profondità della terra sotto l'isola di Creta, e Iris l'Olimpo.



Le figlie di Nereus

L'okeanina Doris partorí a Nereus cinquanta figlie,
le Nereidi, nostre celebri Dee marine, le cui figure affascinanti - anticamente vestite,
piú tardi nude - ci appaiono cosí spesso in atto di cavalcare animali favolosi del mare o
sul dorso di un Tritone. Il piú antico animale prodigioso di questo genere che ci sia
rimasto in raffigurazioni é un cane-pesce: davanti cane, dietro pesce.
Su questo peró non cavalca alcuna Nereide, e per il momento é meglio restare tra queste
belle Dee, i cui volti simili a boccioli furono tanto celebrati.
Il numero, cinquanta, delle Nereidì viene esplicitamente e ripetutamente menzionato,
anche da Esiodo stesso, sebbene egli poi ne enumeri cinquantuna, tra le quali ad ogni modo
anche una Doris. I nomi non sono perfettamente uguali in tutte le enumerazioni.
Ai nostri poeti piacevano questi nomi, per il loro suono e per le deliziose immagini ed
impressioni che suscitavano. Perció essi, sin da Omero, riempivano volentieri numerosi
versi dei loro poemi con questi nomi, senza temere che una simile nuda enumerazione
potesse stancare l'ascoltatore. Sia dunque permesso anche qui, ih questa breve
illustrazione della nostra mitologia, di riprodurre, dietro Esiodo, la lista delle Nereidi,
per chiudere con essa i racconti sulle antiche divinità non-olimpiche. Aggiungeró solo
i significati dei nomi, come li potevano intendere i nostri antenati, nei casi in cui ció
sembri alquanto chiaro. Le figlie di Nereus erano dunque le seguenti:
Ploto, "la natante", Eukrante "colei che porta al compimento", Sao, "la salvatrice",
Amphitrite (che - come si sentirà piú tardi - diventó sposa di Poseidon), Eudora 
"colei dai buoni regali", Thetis (- di cui si é già parlato e si parlerà ancora -),
Galene, "la bonaccia", Glauke "la verdemare", Kymothoe, "la veloce come le onde",
Speio "l'abitante di grotte", Thoe, "la rapida", Halia; "la marina", Pasithea,
Erato "che suscita i desideri" (- cosí si chiamava anche una delle Muse -),
Eunike "colei dalla buona vittoria", Melite, Eulimene "colei del buon porto",
Agaue "la gloriosa", Doto, "la donatrice", Proto, "la prima", Pherusa, "la portatrice",
Dynamene, Nesaia "l'abitante di isole", Aktaia, "l'abitante della costa",
Protomedeia "la prima sovrana", Doris (- che, esattamente come Eudora, é anche Okeanina;
i due nomi hanno un significato uguale -), Panopeia, Galateia (- la dea, simile ad Afrodite,
corteggiata dal ciclope Polyphemos, futuro nemico di Ulisse, ed amata dal bell'Akis -)
Hippothoe e Hipponoe "simili a cavalle nella velocità e nell'impeto", Kymodoke
"colei che para le onde", Kymatolege "che placa le onde", Kymo, "la dea delle onde",
Eione "la dea della spiaggia", Halimede "la dea marina del buon consiglio",
Glaukonome "l'abitante del verde del mare", Pontoporeia "la viaggiatrice del mare o,
Leiagora ed Euagora cc quelle del bel parlare", Laomedeia "sovrana del popolo",
Polynoe ed Autonoe "che donano intelligenza ed ispirazione",
Lysianassa "la Signora liberatrice", Euarne, Psamathe "la dea della sabbia",
Menippe, "la cavalla impetuosa", Neso, "la dea dell'isola", Eupompe
"che offre buona scorta", Themisto (- quasi un alter ego della grande dea Themis -),
Pronoe, "la previdente" e Nemertes, "la verace" che, appunto, sapendo e dicendo la verità,
somiglia a suo padre.
Cosí chiude Esiodo la sua lista delle Nereidi. In altri elenchi ricorrono anche altri nomi.
Non tutte le figlie di Nereus erano considerate anche figlie di Doris.
Nella tarda antichità si voleva distinguere tra le due forme Néreidcs e Néréides nel senso
che solo queste ultime fossero anche "Doridi".
Tale distinzione peró non ha fondamento in alcun racconto.
Tra le altre Nereidi, non menzionate da Esiodo, Apseudes "colei che non mentisce" appare
già in Omero e porta una caratteristica di suo padre, il Dio che dice la verità.
Le Dee del mare erano anche dee oracolari. La piú antica tra di loro, Tethys, aveva un
oracolo presso gli Etruschi. Le sue nipoti, figlie di Nereus, hanno salvato
- almeno cosí si credeva - molti navigatori nei pericoli del viaggio marino.
Ed erano loro ad insegnare agli  uomini i misteri di Dionysos e di Persephone.
Un inno attribuito al cantore Orfeo allude a questo fatto, ma il racconto stesso non é
rimasto conservato. La notizia relativa a un figlio di Nereus, Nerites con cui Aphrodite
si abbandonava a giochi amorosi, fa parte già dei racconti che riguardano la grande dea
dell'amore: racconti che seguiranno adesso.


- Da "La Mitologia dei Greci" di Carlo Kerenyi

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